A cura di don Roberto De Nardin (Festa della Santa Famiglia - Anno B)

A scuola degli affetti

Promessa, attesa, fiducia: parole straordinarie, cariche di vita, semi portentosi di speranza, grammatica di ogni famiglia

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Un anno si chiude… in famiglia. Non è infatti sicuramente banale il fatto che l’ultimo giorno dell’anno civile 2023 termini nel giorno dell’“anno dell’anima” in cui celebriamo la festa della santa Famiglia, domenica incastonata nell’ottava di Natale. Come è ogni gemma preziosa, così è la famiglia: pezzo unico, insostituibile, – spesso incrinato – segnato da una bellezza che non ha paura del tempo e senza la quale non possiamo fare a meno. Ognuno di noi è scaturito ed è parte del medesimo bene che solo una famiglia, anche se lontana o sgangherata, può donare; ognuno ne è debitore e verso di essa prova il suo speciale e singolarissimo affetto: desiderio di (ad-facere) fare qualcosa per corrispondere a quanto è stato donato, bisogno alle volte ferito e dolorante proprio di questo dono siamo fatti. Non siamo, senza una famiglia – non “una” a caso, ma la nostra! Allora alla fine di ogni anno è bello restituire al tempo il suo senso più profondo, quello della gratitudine degli affetti: cemento che, da solo, può sedimentare i vari mattoni su cui costruiamo la nostra esistenza. Tenendo lo sguardo su una famiglia, quella di Nazareth, ricomponiamo allora i pezzi di quello che abbiamo vissuto quest’anno e lasciamoli illuminare dalla splendida Parola che oggi ci è offerta.

Non servirebbe sprecare tante parole – lo sappiamo –, rischieremo di annacquare la freschezza del messaggio: ce ne bastino tre, che da sole aprono un mondo: promessa, attesa, fiducia.  Sono concetti dal peso specifico talmente carico che difficilmente potremmo allontanarcene; senza di esse non capiremmo nulla di noi, della nostra storia, di ogni famiglia. Sono punti luminosi che appaiono evidenti nella liturgia della parola di questa domenica e ci parlano in maniera forte; ci rimettono – tutti – nella condizione di discepoli, di chi, cioè, è disposto ad imparare: sia chi si riconosce nella fede nel Verbo fatto carne, sia ogni uomo e donna di buona volontà.

Alzare lo sguardo verso l’alto e riconoscere i segni di una promessa che si compie. Abramo la sua vita l’ha compiuta; non attende più nulla di speciale; il suo sguardo è fermo all’orizzonte. La promessa di una discendenza diretta da lui, più numerosa delle stelle, spalanca ora un orizzonte infinito. Nulla di preventivabile. Ogni vita, ogni famiglia, è una promessa che pone nel sano dubbio di non sapere mai quello che sarà…nell’intima certezza che, comunque, ne vale la pena. Allora il buio del cielo scuro non è più fonte di paura e smarrimento ma spazio infinito di ricerca di luci piccole ma stabili che fanno della vita una continua sorpresa.

L’esperienza di Abramo dà inizio ad una storia nuova, ad una “famiglia di Dio” in cui attendere è sinonimo di credere. Vale la pena innalzare l’orizzonte nella certezza di essere custoditi da Qualcuno a cui ognuno – non da solo ma come popolo in cammino – sta a cuore a Lui. E solo il cuore allora è in grado di riconoscere la Sua presenza. “Per fede, per fede, per fede”… sembra una litania che si rinfrange nella riflessione della prima comunità cristiana. Come a dire a noi, alle soglie del 2024: “fidati, fidati, fidati”. I nostri affetti si formano e sono custoditi solo dall’attesa fiduciosa che le persone possono cambiare, che le situazioni possono migliorare, che il male e la sofferenza non avranno l’ultima parola, che l’amore è più forte di ogni morte. Ancora una volta ci riconosciamo nello stupore e nella riconoscenza di essere immersi in una storia di amore più grande di noi che, tuttavia, proprio senza di noi, non sarebbe uguale.

Promessa, attesa, fiducia: parole straordinarie, cariche di vita, semi portentosi di speranza, grammatica di ogni famiglia. È singolare rilevare ancora un fatto: a viverli siano persone anziane come Abramo, Simeone ed Anna, uomini e donne che hanno trascorso il loro segmento di storia accumulando eventi di ogni sorta, carichi di esperienze, maestri di come si impara. In questo senso è ancora più singolare rilevare come il tempo non li ha logorati dentro, anzi; ha accresciuto in loro il credito nei confronti della vita. Essa ha dato, più che tolto; il tempo ha arricchito più che depotenziato; la storia non ha consumato, ma ha fatto crescere.

Che il Signore, Padre del tempo e datore di ogni dono, ci aiuti al termine di quest’anno a fare della nostra esistenza uno spazio grato, una “scuola di famiglia” in cui ogni affetto, da quelli più vicini che non abbiamo scelto a tutti quelli che abbiamo incontrato e costruito, sia segno di quell’amore del Dio che ci ha creati, ci accompagna e ci attende.