Una famosa leggenda irlandese narra che, all’apparire dell’arcobaleno in cielo, un folletto corra veloce per nascondere alla sua base una pentola piena d’oro. Certo, è fantasia: nessun folletto, niente pentola d’oro, nemmeno alcuna “fondamenta” dell’arcobaleno – fenomeno ottico che, come sappiamo, prende forma dalla rifrazione della luce sulle goccioline d’acqua presenti nell’aria quando piove. Tuttavia, Resta l’immagine, suggestiva, di un dono prezioso, deposto a terra e legato al cielo; un dono da cercare nel punto della loro congiunzione; un dono che avviene grazie alla vittoria della luce in mezzo alle nuvole. La figura dell’arco poi, così variopinta, lucente e improvvisa, bene interpreta l’annuncio di alleanza che caratterizza questa grandiosa apertura del cammino di Quaresima.
Ci fa bene sentire affermare questo nella Parola proclamata: con buona pace del pensiero comune, nessun grigiore è proprio di questo cammino di quaranta giorni, nessuna nube plumbea di mortificazione lo appesantisce; appare già ora, nitida e bella, la striscia arcuata che ci sorprende dopo ogni temporale e segna l’arrivo della luce che squarcia ogni tenebra. È il patto di Dio con gli uomini, il dono che sempre ci precede, il tesoro da scoprire qui su questa terra, il dono gratuito del cielo: la sua alleanza. «Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà», abbiamo preghiamo nel salmo responsoriale. A Lui stiamo a cuore, davvero, con la particolarità della nostra vita, con i garbugli della nostra storia, con l’unicità della nostra fede. Dio fa alleanza con noi e con questa umanità di cui facciamo parte. Ed oggi la vuole rinnovare. Se è così – e lo è davvero – allora è una gioia iniziare la Quaresima per riscoprire questo, per andare a scavare in noi e intorno a noi per renderci conto del tesoro che Egli ci lascia, nei segni copiosi della sua presenza. Non può abbandonare ciò che ama!
È questa dunque – tornando all’amico folletto – la grande “riserva aurea” della nostra vita, posta alla base dell’arcobaleno dell’alleanza di Dio. Uno scrigno che, tuttavia, non è scontato. Non nel senso che bisogna guadagnarselo. Certamente è gratuito, perché ci viene sempre offerto – non dimentichiamoci mai che prima di tutto è il Signore ad essere fedele con noi –, non scontato il fatto che noi lo cerchiamo, che “ci sporchiamo le mani” per tirarlo fuori. Uno dei rischi più grossi nella vita di fede, infatti, è proprio la superficialità della ricerca. Nel vero senso del termine: rimanere in superficie, accontentarsi di cose di poco valore, mangiare le briciole, non andare a fondo nell’alleanza personale fra Lui e noi, non avere coraggio di darGli del “Tu” con il nucleo più profondo della nostra essenza. E così facendo si perde il bello del credere, si inaridisce la pratica religiosa, si ingessano le tradizioni; non si tiene in debito conto cosa c’è lì sotto che ci aspetta.
Lo abbiamo capito: c’è bisogno di vivere il deserto. Esso è l’altro “luogo” che caratterizza l’avvio di ogni Quaresima. E quest’anno è Marco che ci conduce, con scarsità di parole ma con ricchezza di significato. Bastano tre versetti per affermare una verità sconcertante: anche Gesù ha avuto bisogno di un tempo per trovare ancora più sé stesso, per saldare in maniera indelebile la sua alleanza con Dio, per sperimentare – da vero uomo e vero Dio – la forza disgregatrice del divisore (Satàn) che illude…ma che non ha l’ultima parola. Lo ha scoperto nell’essenzialità del silenzio, nella fatica della prova, nella lotta di scavare nel per proprio cuore… e trovare il tesoro più bello: la relazione col Padre che, da Figlio e fratello, desidera solo donare anche a noi.