Gesù usa alcune immagini che ci fanno riflettere sul rapporto che abbiamo con noi stessi e con gli altri. Cinque immagini, brevi parabole, di un’efficacia straordinaria, che sono passate anche nel dire comune, o che sono patrimonio anche di altre visioni della vita.
La più famosa e usata è la parabola della scheggia impiantata nell’occhio di coloro che incontriamo, paragonata alla trave che invece intralcia la nostra vista. Sappiamo quanto sia importante la nostra vista. Se possiamo sopportare un po’ di sordità, la cecità ci fa senz’altro più paura. Non poter vedere e avere bisogno degli altri per fare anche le cose più semplici.
Molti miracoli compiuti da Gesù riguardano la guarigione dalla cecità, e anche una delle accuse che viene fatta agli scribi e ai farisei: guide cieche che non possono condurre alla salvezza. Torniamo così all’immagine con cui si apre questa pagina. Nessun cieco può guidare un altro cieco, altrimenti rischiano di cadere entrambi in un fosso. La cecità è perenne oscurità, avere gli occhi aperti, spalancati, ma incapaci di cogliere la luce. È Gesù quella «luce che illumina ogni uomo», alla sua luce «vediamo la luce».
Non c’è nulla di peggio che credere di vedere e invece essere ciechi. Presupporre di essere giusti e santi, quando invece non lo siamo. E pretendere di essere modello e guida per gli altri. Una delle cose insopportabili è essere guidati da persone incoerenti, che dicono una cosa e ne fanno un’altra. Anche Gesù lo sapeva e mentre ammetteva la bontà e la giustizia delle cose che gli scribi e i maestri della legge dicevano, tanto da dire alla folla di osservare quanto dicevano, raccomandava di non seguire invece quello che facevano.
Se seguiamo Cristo, noi camminiamo nella luce e non è possibile che né pagliuzze né travi si trovino noi nostri occhi, perché vediamo la realtà e noi stessi con gli occhi di Cristo che sono sempre limpidi e pieni di misericordia.
Da dove viene il desiderio di giudicare gli altri? Da dove nasce la certezza di essere in grado di porsi come guide nelle scelte di vita degli altri? Vediamo come sia sempre più difficile educare, non solo i bambini e i giovani, ma anche la società stessa, verso una linea di rigore morale, osservanza delle leggi non solo dello Stato, ma anche della comune convivenza e nella luce della fede.
La risposta ce la dà ancora una volta Gesù: è quello che abbiamo nel nostro cuore che “colora” la nostra vita e le persone che ci circondano. Se il nostro cuore è nelle tenebre, ferito, amareggiato, arrabbiato, sempre sospettoso o comunque irrigidito nei confronti di tutto ciò che ci circonda, vedremo tutto sotto una luce opaca, nebulosa, grigia, poco chiara e soprattutto non vera. La realtà ci apparirà per quello che non è. Questa è la trave che non solo ci sta davanti agli occhi, ma piantata nel profondo tanto da arrivare nel nostro cuore.
Ma se il nostro cuore è nella luce, tutto diventa chiaro e nitido. Certo saremo in grado di vedere ancora le cose che non vanno, le incongruenze, i difetti degli altri, le cattiverie del mondo, ma il nostro cuore purificato e limpido sa anche andare oltre, spingersi lontano e vedere le cose belle, positive, che danno gioia. Saremo capaci di non fermarci ai difetti e alle mancanze degli altri, ma con gli stessi occhi di Cristo vedere il buono che c’è nel mondo.
Pensiamo sempre questo: se Dio avesse pensato che non valeva la pena salvare questa umanità, ogni uomo, ogni singola persona che abita questo mondo, mai e poi mai avrebbe mandato suo Figlio in mezzo a noi. «Egli è qui per la caduta e la salvezza di molti». Caduta, perché per tornare a vedere occorre inciampare sui nostri difetti. Sì, è una tappa fondamentale. Occorre arrivare con il naso per terra e respirare la polvere per ricordarci che tutti possiamo cadere, che tutti possiamo sbagliare, che tutti possiamo peccare.
Ma se abbiamo incontrato Cristo e la sua Luce, siamo anche capaci di testimoniare che noi ci siamo rialzati non per nostro merito, e che se restiamo in piedi e abbiamo coraggio di fissare lo sguardo in Gesù è perché Lui ci ha tolto la trave che gravava nelle nostre orbite, che ci impediva di avere una vista limpida su noi stessi, gli altri, Dio e il mondo.
Il nostro cuore sia abitato dalla luce di Cristo, perché possiamo vivere immersi nel suo amore e lo possiamo testimoniare in dolcezza, pazienza, mitezza anche a coloro che Dio mette sul nostro cammino.
Con questa omelia don Vito De Vido si congeda dall’appuntamento su questa pagina e passa il testimone a don Giorgio Aresi, parroco di Lamon, Arina e San Donato. A don Vito giunga un sincero apprezzamento e tanta gratitudine per l’impegno che fin dall’inizio dell’Avvento ha profuso nel fornirci ogni settimana la sua riflessione.