A cura di don Vito De Vido (6ª domenica del tempo ordinario - anno C)

Che cosa porteremo con noi?

Gesù ci presenta un modo diverso per leggere la nostra vita, la vita di questo nostro mondo

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Le Beatitudini ci vengono trasmesse in modo diverso da Luca e da Matteo. Matteo ci dice che Gesù salì sul monte. Luca invece racconta che Gesù si trovava in luogo pianeggiante. Matteo riporta otto beatitudini, Luca divide quello che Gesù ha detto in quattro “beati” e quattro “guai”. Non è il momento di trovare similitudini e differenze. O discutere su quali siano le più aderenti a quelle che sono uscite dalla bocca di Gesù.

Riflettiamo prima di tutto su quello che vuol dire per ciascuno di noi essere beati. Per il passato si usava spesso l’espressione: “se n’é andato contento e beato” come sinonimo di “essere pienamente soddisfatto”. Poteva essere un bambino che aveva ricevuto un bel giocattolo, o quella cosa tanto desiderata, o aver avuto la gioia di essere ascoltato mentre raccontava una delle sue nuove scoperte… “Contenti e beati” racchiudeva quindi il concetto dell’essere pienamente soddisfatti. Non in parte, ma totalmente. Non c’era spazio per il rimpianto, per il rancore o la delusione.

Ecco: oggi Gesù ci presenta un modo diverso per leggere la nostra vita, la vita di questo nostro mondo. Gesù chiama beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati a causa del suo Nome.

Se pensiamo a noi stessi, alle nostre difficoltà, oppure gettiamo il nostro sguardo al passato, alle nostre terre, all’emigrazione, alle fatiche immani per poter sopravvivere con poco in montagna, o se siamo meno egocentrici allarghiamo la nostra visuale sulla stragrande maggioranza che vive in questo mondo, vediamo che povertà, fame, malattie, guerre, carestie sono la quotidianità di miliardi di uomini e donne, di vecchi e bambini.

Anche a loro, anche a noi Gesù continua a dire: “Beati i poveri”. Ma come, ci viene da dire? Perché i poveri dovrebbero essere contenti di essere poveri? E perché chi piange dovrebbe essere contento di piangere?

Essere nella necessità, in qualsiasi tipo di necessità, ci stimola a reagire, a cercare opportunità nuove. Per migliorare la nostra condizione. Qualcuno ci riesce. Molti non ce la fanno. La stragrande maggioranza rimane povera. Non troviamo nel Vangelo, nelle parole di Gesù la condanna della povertà. Gesù non abolisce la povertà. Nessun miracolo, nessun intervento vede protagonista Gesù nel combattere la povertà. Moltiplica pane e pesci. Guarisce malati. Perdona peccati. Ma non distribuisce soldi. Non moltiplica ricchezze. Anzi, possiamo dire che in qualche caso Gesù con la sua presenza e il suo messaggio invita chi vuole seguirlo a disfarsi delle ricchezze per darli ai poveri. E in altra parte del Vangelo ci ricorda che i poveri li avremo sempre con noi. Non c’è poesia nell’essere poveri. Non c’è romanticismo nel vivere di poco e niente. Di non riuscire a dormire perché si ha fame, o preoccupati perché i propri figli non possono essere nutriti o curati. Non c’è bellezza nel dormire agli angoli delle piazze, o stendere la mano per mendicare.

Il Vangelo di oggi ci scuote con quei quattro “guai”, che sembrano gridati in bocca a Gesù. Guai! Era la minaccia che ci veniva rivolta se non ci si comportava bene. Non occorreva specificare cosa ci sarebbe successo: niente di buono di sicuro. Guai! Ripete oggi Gesù. Guai ai ricchi, guai a chi ha la pancia piena, a chi ride e se la gode. Guai a quanti cercano la visibilità e l’approvazione davanti alla folla.

Gesù cerca di metterci in guardia da un pericolo serio, che ha catturato la stragrande maggioranza di quella parte di mondo che “sta bene”. Avere, possedere, godere, usare, comprare, gettare, ricomprare, apparire… un ritratto senza sfumature di chi mette nelle cose materiali e nelle glorie umane la propria felicità.

C’è un giorno per tutti che sarà l’ultimo. Non conosciamo il momento e l’ora. Sappiamo che verrà. Alcuni sono certi che in quel giorno terminerà ogni cosa per loro. Ma Gesù chiede a tutti: “Che sarà delle tue fatiche? A chi lascerai tutto quello per cui hai sudato e faticato?” e “Che cosa porterai con te nel momento della morte e nella vita eterna?”

Ogni cosa dovremo lasciare. Gesù ci ricorda che saranno beati coloro che hanno sofferto qui su questa terra, perché per loro arriverà il momento della gioia. Ma per quelli che hanno avuto ogni cosa in questo mondo, e solitamente non sono mai stati “contenti e beati” fino in fondo, ma sempre insoddisfatti, neppure la vita eterna si presenta per loro attraente.

Il grande rischio del non saper gioire delle piccole cose, della vicinanza degli altri, delle parole buone, della luce delle parole del Vangelo, è quello di non saper riconoscere la vera ricchezza, la vera gioia!

San Paolo ce lo dice chiaramente: “Se crediamo a Cristo solo in questo mondo, resteremo delusi. Perché Egli è la Vita senza fine, il premio dei buoni, la consolazione dei giusti, la gioia senza fine, Colui che ci riempie di ogni dono perfetto e renderci beati”.