Caritas in progress

Corresponsabili per una comunità solidale

La Caritas chiamata a essere rabdomante dei segni del Regno

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Sabato 2 dicembre si è svolto al Centro Papa Luciani di Santa Giustina il terzo incontro del percorso di formazione “Caritas in progress”, iniziato un anno fa e rivolto a tutti coloro che si dedicano o desiderano dedicarsi all’impegno solidaristico caritativo. I primi due incontri, del dicembre 2022 e del maggio 2023, hanno messo a fuoco il passaggio dall’io al noi, cioè all’attenzione nei confronti dell’altro e alla costruzione di una comunità solidale.

Il tema di questo terzo incontro – “Corresponsabili per una società solidale” – intendeva offrire alcune piste di riflessione per orientare l’impegno di operatori e volontari nel dare il proprio contributo al bene comune. Dopo il saluto del Vescovo Renato, che ha guidato il momento iniziale di preghiera, e l’introduzione del diacono Francesco, direttore della Caritas diocesana, che ha presentato il significato dell’incontro, ha preso la parola don Piero Mandruzzato, della Caritas di Adria-Rovigo, che ha preso spunto dal Vangelo della prima domenica di Avvento, nel quale Gesù narra la parabola del padrone che, partendo per un viaggio, lascia la casa ai servi, dando loro il potere e a ciascuno il suo compito e ordinando loro di vegliare, perché non sanno quando egli ritornerà. Il relatore ha sottolineato tre elementi toccati dall’evangelista Marco nei quali si manifesta la responsabilità dei servi nel tempo dell’attesa: la casa, il potere, il compito. Sono altrettanti luoghi ove si manifesta oggi la vigilanza del discepolo in conformità alle indicazioni del Maestro.

1. La casa. La Creazione è stata affidata da Dio all’uomo Dio perché la coltivi e la custodisca. Occorre avere fiducia nel fatto che Dio opera nella storia per non vivere questo mandato con rassegnazione, con atteggiamento di rinuncia verso il futuro. Occorre riconoscere che le vie di Dio passano nel territorio, in tutto il territorio, non solo in quello che ci è familiare e che riteniamo nostro. Dovremmo imparare dal Vangelo a riconoscere la creatività dello Spirito. In questo senso la Caritas è chiamata ad essere rabdomante dei segni del Regno. Potremmo allora domandarci se le nostre parrocchie siano delle comunità cristiane e che cosa renda cristiana una comunità, se non la condivisione di un dono, a partire dal dono della Parola, da ascoltare continuamente, per imparare a leggere nella vita i segni del Regno, che devono essere raccontati e celebrati. Ciò significa condividere l’amore di Dio, anzitutto, con gli ultimi, i piccoli, gli esclusi. È necessario dunque riconoscere, condividere, facilitare l’azione di Dio nella storia ed essere disponibili a lasciarsi cambiare da quello che accade. Non il primato del fare dunque, ma creazione di comunità nuove, che vivano attorno ad una passione comune. Perché il bisogno di comunità vere resta una esigenza, anche se le comunità non coincidono più con i territori e i confini segnati nel passato. Le persone cercano speranza, soprattutto cercano la carità, che è la carità di Dio. Forse le comunità nuove nasceranno fuori dagli schemi tradizionali.

2. Il potere. Il nostro potere è nelle virtù teologali, che Dio ha seminato in noi nel Battesimo, e che ci consentono di agire, come i servi della parabola, nella fiducia, senza paura. A noi, tutti insieme, come ai servi, è stata affidata la casa. E seppure con mansioni diverse, noi, come i servi, siamo chiamati ad avere cura della casa. Il segreto del potere, nel senso della parabola, sta nella carità. È questa che definisce la qualità delle relazioni, che altrimenti, anche nelle nostre comunità, sarebbero segnate da gelosie, invidie, critiche malevole, divisioni, ecc. È necessario superare la separazione tra vita pratica e vita spirituale, tenendo insieme il rapporto con Dio e quello con il prossimo, perché resta vero che ciò che accade con il prossimo, accade con Dio. La fede è ancorata alla vita e la sua qualità viene verificata dall’amore. La realtà del potere, per stare alla parabola, è nella qualità delle relazioni.

3. Il compito. Si può credere che fare le cose con buona volontà sia già un vivere da cristiani. Si può essere più preoccupati della quantità del fare, che non della qualità. Ma noi possiamo dare solo ciò che abbiamo ricevuto. È la vicenda di Marta e Maria. I volontari, allora – ma è meglio parlare di discepoli o apprendisti della carità – sono chiamati a custodire il cuore con l’ascolto della Parola, come Maria, perché devono fare fronte alla invasività del male, che ha radici in tutte le dimensioni dell’umano e che va combattuto lavorando sul cuore, il luogo della formazione della coscienza, attraverso la preghiera, che è un affidarsi a Dio perché realizzi la sua volontà attraverso di noi. Dove c’è il Regno, c’è liberazione dal male. Si può pensare che sia sufficiente fare il bene senza coltivare il cuore con un cammino spirituale di conversione, ma così si rischia di dare una controtestimonianza.

All’intervento del relatore sono seguiti quattro momenti di laboratorio dedicati ad aree tematiche di particolare attualità, nelle quali declinare il tema della corresponsabilità: il tema della casa, il tema del lavoro, quello dell’educazione, particolarmente in rapporto alle seconde generazioni degli immigrati, quello della comunicazione, tra fake news e spirito critico. È stata infine consegnata ai partecipanti una scheda per esprimere idee o desideri su una comunità che sogniamo. È stato gettato un seme; la speranza è che germogli e porti frutto.

Francesco D’Alfonso