Un tempo di benedizione

Dieci anni con Francesco

Il Vescovo annota “quattro punti cardinali” per scoprire la bellezza del tempo donato da Francesco alla fraternità tra i popoli

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Dà un certo brivido lo sguardo sui dieci anni trascorsi da quella sera – il 13 marzo 2013 – quando quell’uomo dalla metropoli di Buenos Aires venne catapultato negli intrighi romani. Ed ecco un primo segno che ruppe la trama delle notizie più scandalose della Chiesa: il nuovo papa chiede di essere benedetto dal popolo di Roma, convenuto in Piazza San Pietro. Colpisce quella benedizione del popolo di Dio. È il segno che resta aperto su tutto lo scorrere di questi dieci anni di ministero del vescovo di Roma: un tempo di benedizione!

Oggi nella Chiesa che ha vissuto per secoli in un contesto di “cristianità” c’è uno strano smarrimento di pensiero, di cuore, di senso di appartenenza, di apertura sul futuro. Forse anche serpeggia in essa dell’ingratitudine per il coraggio di quel segno di benedizione. Come riconosce il Vangelo, «nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (Lc 4,24). Benedizione e profezia sono due nomi con cui chiamare questi “dieci anni con Francesco”.

Vorrei soffermarmi su “quattro punti cardinali” che orientano a scoprire la bellezza di questo tempo donato da Francesco alla fraternità tra i popoli, quella di cui la Chiesa – secondo il Concilio Vaticano II – è “sacramento”. La sera del 13 marzo 2013, in modo sorprendente e inaspettato, Francesco ha anche svelato la visione della “presidenza nella carità” a cui è chiamata la Chiesa di Roma.

Proprio nei primi attimi di quella comparsa sulla loggia della basilica di san Pietro si può riconoscere il primo “punto cardinale”. Francesco da quel terrazzo su Roma è sprofondato in un silenzio attonito. Ha guardato la piazza che sussultava e lui si è fermato, in quegli attimi non ha pronunciato parola, come se qualcosa di altro stesse accadendo. Viene da chiederci: ma che cosa successe nel suo intimo? Quel silenzio è l’abitazione del Dio che è misericordia. Ci sarà sempre poi lungo tutta la vicenda di questi dieci anni di ministero quel silenzio della Misericordia che è Dio, della sua tenerezza, della sua fragile presenza e azione in questa nostra storia.

Un secondo “punto cardinale” giunge ancora in quegli inizi e avvolge tutto l’arco di questo tempo: la “gioia del Vangelo” (Evangelii gaudium). Alla Chiesa è giunta questa chiamata alla povertà del Vangelo e della gioia che avrebbe dovuto diventare tutta la sua dignità, la sua bellezza, la sua attrattiva, il suo servizio, la sua condivisione. Lungo tutti i tracciati che ha azzardato aprire, in ogni affranto del suo percorso, Francesco fa sgorgare capillare la “gioia del Vangelo”. Anche nell’atteggiamento assorto del suo volto e non solo nell’affettuosità con cui pone lo sguardo su chi incontra, egli getta un seme della “gioia del Vangelo”. Solo gli animi esacerbati, irritati, rinchiusi nelle proprie rigidità e certezze risultano infastiditi dinnanzi alla fruizione semplice, spoglia, non programmata, fiduciale della “gioia del Vangelo”. Un primo sussulto di tale gioia, a echeggiare ciò che sta agli inizi del Vangelo – pensiamo al gioioso e mistico abbraccio tra Maria ed Elisabetta – avvenne nel contesto della celebrazione del Concilio. Allora il segno profetico dei poveri sembrava aprire un orizzonte nuovo. Francesco ha aiutato la Chiesa, immersa nelle sue faccende, a riaccendere quella chiamata. Per Dio infatti «mille anni […] sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte» (Sal 90,4). La “gioia del Vangelo” è soprattutto l’imprevedibilità di Dio ovunque e in ogni tempo.

Al terzo “punto cardinale” vi è “la letizia dell’amore” (Amoris laetitia). Mai Francesco in questi dieci anni si è posizionato a livelli stratosferici. Egli è sceso a visitare con tenerezza e senza alcun senso di nausea il reticolato, spesso annodato, della sfera degli affetti che ogni persona porta con sé. Ogni buon conoscitore del cuore umano sa che a tale livello si gioca il di più e il meglio della vita. Francesco ha inteso liberare tutto ciò che in questo profondo rischia l’imprigionamento, l’accumulo di scorie, l’avvelenamento degli animi, la pesantezza del vivere insieme. In modo sorprendente Francesco ha liberato e annunciato il “Vangelo della famiglia” e, dunque degli affetti, delle relazioni: la “letizia dell’amore”. Ha così svincolato un terreno che anche per la Chiesa risultava sotto sequestro. È iniziato uno sguardo nuovo su ciò che ogni persona porta come promessa da parte di Dio: essere «a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza» (Gn 1,26).  Qui appare la spregiudicatezza liberante del Vangelo: «Chi sono io per giudicare?». Su questo fronte aperto, Francesco ha intrecciato un esercizio nuovo di discernimento che è diventato immediatamente processo e stile sinodale. Per davvero il Vangelo è profezia di “tempi nuovi” e, di conseguenza, si può capire la fatica a comprendere propria di una Chiesa ancorata al “si è sempre fatto così”.

Il quarto “punto cardinale” è lo sguardo contemplativo di Francesco che scruta le immensità dell’universo e di riflesso si affascina per il sogno di pace che esso porta in sé e per la chiamata alla fraternità universale di tutti i popoli (Fratelli tutti). Il pianeta terra, in questo sguardo, diventa la “casa comune”. Francesco, oggi pur nella pesantezza degli anni che passano e che si riflette sul suo corpo, appare diafano di spirito nel suo fidarsi della bontà, della bellezza, della fedeltà di ciò che Dio è per questa stupenda opera di creazione che siamo noi tutti in questo universo (Laudato si’). Per questo ne coglie il grido di sofferenza che egli decodifica in ogni fratello e sorella che sono nell’abbandono e a cui non è riconosciuto il diritto di essere accolti. Questo grido di sofferenza è l’altro volto della “gioia del Vangelo” a cui Francesco è dedicato e consacrato. Anche il travaglio della pandemia, a volte così drammatico, in Francesco è diventato come un parto. Egli non ha esitato un attimo a esercitare la sua maieutica perché la vita in tutti e di tutto apparisse nella sua spiazzante verità e inusuale bellezza: «Siamo tutti sulla stessa barca!».

Grazie, Francesco, benedizione del Popolo, benedizione di Dio!

Belluno-Feltre, 13 marzo 2023

+ Renato Marangoni