Tempo di avvento, tempo di attesa. Molti sono stati i profeti che hanno visto da lontano e ardentemente desiderato “il giorno del Signore”, l’arrivo del Salvatore promesso, il Messia. Ma non lo hanno visto. Hanno solo potuto predirlo.
Ma ora ecco Giovanni: voce di uno che grida nel deserto: «preparate la via al Signore». Giovanni chiude la lunga serie di coloro che hanno predetto la venuta del Salvatore, e lo annuncia presente. Per poter accogliere la salvezza non basta l’entusiasmo, il correre a vedere cose straordinarie. Giovanni si scaglia con forza contro tutti coloro che prendono la conversione come un momento di formalismo, esteriorità senza sostanza! Non ha parole dolci, né gentili. Non cerca di attirare a sé con il miele, ma brilla nelle tenebre con una fiamma che inquieta e mette in cammino anche i pigri.
Non basta desiderare la salvezza per seguire Cristo. Occorre mettersi in cammino. Non basta desiderare un mondo migliore (come quello di cui abbiamo letto nella prima lettura, tratta dal profeta Isaia) perché esso si faccia concreto. Occorre impegnarsi a cambiare se stessi. Troppo facile desiderare il cambiamento degli altri, o della società, senza cambiare il modo di affrontare la vita quotidiana. Assomigliamo a quell’uomo che ogni giorno ha un’idea nuova da dispensare agli altri su come migliorare il paese in cui abita, ma senza impegnarsi in prima persona a cambiare se stesso e il proprio stile di vita.
Papa Paolo VI diceva che il mondo, la gente, noi insomma, non abbiamo bisogno di maestri. E che se seguiamo i maestri è perché essi per primi sono testimoni di quello che insegnano. Purtroppo questo è vero sia nel bene, sia nel male. Oggi si parla di persone che detengono il potere di influenzare le masse con le loro parole, con i loro gesti. Più hanno seguaci più si pensa che possano aver ragione, o comunque che a buon diritto possano aprire bocca e dispensare consigli non richiesti.
Ci ritroviamo nel cammino verso il Natale davanti a Giovanni, figura severa, che aveva sì molti che lo seguivano e che si recavano da lui sulle rive del fiume Giordano per farsi battezzare. In che cosa riconosciamo che la sua testimonianza viene da Dio? Perché non cerca di mettere condurre a sé quelle persone, ma a Dio! È a Lui che dobbiamo andare. È a Gesù che noi dobbiamo fare riferimento per la nostra vita. Il Natale ci insegna a farci piccoli, a non apparire, a non metterci in mostra. Ci insegna l’umiltà.
Papa Luciani ha potuto soltanto tenere quattro udienze generali: ha parlato delle tre virtù teologali e dell’umiltà. Una maniera poetica e artistica di rappresentare queste virtù è di farlo attraverso l’immagine di tre donne. La fede viene dipinta con un velo davanti agli occhi, mentre tiene in mano una lampada, o abbraccia la croce, o tiene in mano il calice con l’Ostia consacrata: la fede crede a quello che non vede, ma che sa vero. La speranza è rappresentata con un’ancora vicino a sé: l’àncora tiene ferma la nave in porto, o nel luogo in cui deve rimanere stabile. La nostra speranza è nei cieli, e viene gettata in alto, verso Dio. La carità è una donna circondata di bambini di diverse età tutti abbraccia e nutre il più piccolo al suo seno. L’amore che viene da Dio non fa preferenze di persone, ma si dona a tutti.
E l’umiltà? Anche l’umiltà viene rappresentata da una giovane donna, o da una ragazzina, che torva ai suoi piedi ricchezze e corone: non ha raccolto nulla. Tra le sue mani stringe una palla. Perché la palla? Perché con più forza la si scaglia a terra, più in alto rimbalza. Memori di quel che ha detto un giorno il Signore Gesù: «Chi si umilia sarà esaltato, chi si esalta, sarà umiliato».
Ecco: il Natale è mistero d’umiltà. Giovanni dice che deve diminuire, per lasciare posto al Cristo che viene. Anche a noi, se vogliamo vivere in pienezza l’avvento, è chiesto di diminuire per poter crescere. Diminuire le pretese, nei confronti di Dio. E arrenderci alla sua Parola. Diminuire le pretese nei confronti degli altri. Per non restare delusi con false o troppo alte aspettative Diminuire le pretese anche verso noi stessi. Reputare gli altri superiori a noi stessi, non perché non crediamo nelle nostre capacità, ma per poter offrire a Dio quello che siamo in realtà, poveri, peccatori e bisognosi della sua Salvezza. Altrimenti il Natale non ci servirà a nulla, ma solo per riempire ancora una volta la vita di apparenza e non di sostanza.