A cura di don Renato De Vido (32ª domenica del tempo ordinario - anno A)

Ecco lo sposo! Andategli incontro!

Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade

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«Ecco lo sposo! Andategli incontro»! Non è bello ed entusiasmante questo grido, questa acclamazione che si diffonde nella notte? Non è come quando suona la sirena per avvertire di un pericolo. Non è come uno ti sveglia di soprassalto per darti brutte nuove. È la gioia che non si contiene, e diventa grido.

1. «Il ritardo dello Sposo è nella nostra vicenda, dove ci si addormenta nel prolungarsi di quest’ultima ora della storia. In queste parole si trova l’immagine più bella dell’esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare incontro».

Parabola esigente e consolante. Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato. Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà.

Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade.

2. Non è frequente incontrare cristiani o sacerdoti che declinano il proprio vivere con tale attesa gioiosa. Non è frequente perché noi tutti – più che altro – aspettiamo trepidanti e dolenti l’appuntamento con la morte. Quello ci sembra il traguardo che condiziona tutte le età: dai bambini che appena intravvedono il precetto ineluttabile del “dover morire”, ai giovani che ne sanno fare una sfida con i loro progetti e le loro prodezze, agli anziani che guardano ostinatamente verso l’ultima tappa del vivere, parlandone ogni giorno.

«Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono…». Sembra di percepire questo lamento che si diffonde, questa lagnanza, questa rassegnazione che toglie gioia.

3. Certo, non è superficiale il racconto imbastito da Gesù, anzi diventa estremamente serio soprattutto quando quella porta non si apre alle ragazze ritardatarie, o quando una voce imperiosa dice “non vi conosco”. Non è una favoletta dopo la quale puoi chiudere il libro e pensare ad altro. È un’immagine, o una catena di immagini che misura il polso della nostra esistenza.

Per esempio con la domanda: cosa potrebbe essere l’olio per le lampade? Se l’olio è la carità, l’amore verso Dio e verso i fratelli, la lampada è la nostra vita che lo dovrebbe contenere. Si comprende perché le sagge non possono darne alle stolte: l’amore è proprietà di ogni anima, non si può dare in prestito.

Possiamo anche addormentarci, ma non possiamo mai essere senza amore. Questo il senso della parola forte dello Sposo alle stolte: “non vi conosco”. Quelle vergini non avevano conservato quello che Gesù ha dato in abbondanza a ciascuno, l’amore che ci fa fratelli e che è anticipo del paradiso