Sabato 4 marzo, al Centro Giovanni XXIII

Esodo, oltre la pena

La storia del Progetto Esodo e le nuove prospettive aperte dalla giustizia riparativa, previste nella riforma Cartabia

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Sabato 4 marzo nella sala teatro del Centro Congressi Giovanni XXIII si è tenuto un seminario sulla giustizia organizzato dalla Fondazione Esodo Onlus e dalla Caritas diocesana di Belluno-Feltre. Il tema – Esodo: oltre la pena. Un nuovo sguardo sulla giustizia – intendeva collegare la storia del Progetto Esodo, attivo dal 2011, con le nuove prospettive aperte dalla giustizia riparativa, fra l’altro previste anche nella riforma Cartabia.

Hanno portato il loro saluto il direttore della Caritas diocesana, diacono Francesco D’Alfonso, che ha ricordato l’esperienza più che decennale del progetto Esodo, il presidente della Fondazione Esodo, mons. Gino Zampieri, il sindaco Oscar De Pellegrin, il direttore della Casa circondariale Tiziana Paolini, che ha ricordato il valore dell’apertura della casa circondariale ad imprese che hanno portato il lavoro a beneficio dei detenuti e delle loro famiglie, il rappresentante della Fondazione Cariverona Renzo Poloni, il quale ha sottolineato come la Fondazione Cariverona abbia creduto fin dall’inizio nel Progetto Esodo, investendovi notevoli risorse proprio per la rilevanza sociale della reinclusione degli autori di reato, l’assistente sociale UIEPE (Ufficio interdistrettuale per l’esecuzione esterna della pena) Ornella Murciano, delegata per il territorio bellunese, la quale ha fatto riferimento alla nuova ottica sperimentata nell’accompagnamento delle persone per consentire loro di riformulare progetti di vita.

Un video che raccontava gli aspetti salienti del Progetto ha introdotto l’intervento di don Gino Zampieri, direttore della Caritas veronese e presidente della Fondazione Esodo. Sono state più di 2.400 le persone seguite mediante il progetto Esodo nei territori di pertinenza della Fondazione Cariverona, che ha finanziato le attività di reinclusione sociale e lavorativa di detenuti, ex detenuti e detenuti in pena alternativa. La Fondazione di partecipazione Esodo, nata nel 2016, coordina le attività delle diocesi fondatrici (Verona, Vicenza, Belluno-Feltre e, più recentemente Vittorio Veneto e Venezia) grazie a una rete di 23 enti partner operanti nel territorio. I risultati ottenuti sono stati incoraggianti: ciò che appare determinante è l’accompagnamento delle persone mediante un lavoro di rete mirante a offrire una nuova opportunità, che spesso è la prima opportunità, per ricostruire le relazioni nella comunità, grazie anche ad un rapporto di collaborazione con le istituzioni. Le aree sulle quali agisce il progetto sono quelle della formazione e dell’inclusione sociale e lavorativa, con l’obiettivo di spezzare la catena della recidiva e non lasciare sole le persone che hanno sbagliato, né le vittime né la comunità, con l’attenzione alla sostenibilità dei progetti e delle iniziative e alla disponibilità delle istituzioni (in particolare la Regione). Le prospettive di sviluppo del progetto poggiano sulla sua replicabilità. Si sta cercando di coinvolgere altre province e insieme di contribuire a formare una sensibilità, premessa necessaria perché sia possibile un cambiamento di mentalità, un vero cambiamento culturale ed anche del cuore, come quello determinato dalla giustizia riparativa.

Ed è stata la giustizia riparativa il tema trattato dalla professoressa Patrizia Patrizi, docente all’università di Sassari e presidente dell’European forum for restorative justice in un intervento che il moderatore Pierluigi Svaluto Moreolo ha definito “vertiginoso”. Obiettivo prioritario è ricostruire le relazioni all’interno della comunità, tenendo conto del fatto che la giustizia riparativa non agisce solo nell’ambito penale, ma in ogni luogo in cui si può generare un conflitto e si verifica un danno, per sanare le ferite dei conflitti, riparare l’ingiustizia, curare le sofferenze. Si tratta in sostanza di entrare in un nuovo paradigma culturale, che implica anche un cambiamento di linguaggio: non solo un linguaggio di tipo giuridico, ma una maggiore rilevanza della persona. Per questo è necessario uscire dagli schemi, cambiare le lenti con cui guardare alla realtà per passare da una giustizia retributiva ad una giustizia riparativa.

In sintesi: non ci si limita a concepire la violazione solo in relazione alle norme dello Stato, ma anzitutto come violazione della relazione tra persone. Per questo la giustizia riparativa comporta degli obblighi, che esplicitano una assunzione di responsabilità nei confronti di chi ha subito il danno. Esige anche di ascoltare la vittima, così come le altre parti coinvolte, per far emergere i bisogni, compresi quelli della comunità, che ha un ruolo importante nel favorire il rispetto della dignità della persona, la solidarietà e la responsabilità. Non ci si limiterà dunque alla sola verità processuale, ma si guarderà alla verità soggettiva, cioè al vissuto delle persone coinvolte. Per questo sarà importante favorire l’incontro tra le parti, anche se la partecipazione al percorso non può che essere volontaria e caratterizzata dalla assenza di dominio.

Va chiarito, tuttavia, ciò che la giustizia riparativa non è: non è solo per reati minori; non è principalmente perdono e riconciliazione, ma chi ha seguito questi percorsi più facilmente arriva al perdono; si parla di mediazione tra le parti, ma è più corretto parlare di dialogo; la giustizia riparativa non sostituisce il sistema legale; inoltre non è un unico programma, ma parla dell’importanza della comunità, dei bisogni di una comunità. Si parte da un fatto per avere cura delle relazioni e sanare le ferite inferte dal danno. La giustizia riparativa non è una soluzione alternativa delle controversie (soluzione arbitrale, mediazione civile, commerciale), non è buonismo, ma favorisce il bene della vittima, dell’autore del reato, della comunità.

È seguita una conversazione aperta, alla quale hanno partecipato con la prof.ssa Patrizia Patrizi il diacono Francesco D’Alfonso, mons. Gino Zampieri, Ornella Murciano, il sindaco Oscar De Pellegrin. Il direttore della Caritas diocesana ha sottolineato l’importanza del coinvolgimento della comunità sulle tematiche riguardanti la giustizia per promuovere una maggiore sensibilità e una maggiore consapevolezza. A questo riguardo potrà dare un contributo significativo il neonato tavolo provinciale sulla giustizia riparativa, costituito da rappresentanti di associazioni ed enti, espressione dell’intero territorio e che può giovarsi delle esperienze di tavoli già operanti in altre province venete. Il sindaco ha espresso apprezzamento per il progetto Esodo e per l’ambizione di coinvolgere il territorio e le istituzioni, anche grazie all’impegno del volontariato, risorsa preziosa delle nostre comunità.

Il vescovo Renato Marangoni ha concluso auspicando che il carcere non resti estraneo alla città nella quale è inserito, ma si apra all’esterno, in particolare consentendo l’ingresso alle realtà di volontariato e alle loro iniziative di promozione della persona. All’incontro ha partecipato una classe di studenti di scuola superiore, accompagnata da un docente: toccherà ai giovani dare un contributo importante al cambiamento di mentalità che la questione giustizia attende.

Francesco D’Alfonso