A cura di don Sandro De Gasperi (solennità di Cristo Re - anno C)

Ha rubato anche il Paradiso

Impariamo da un ladrone, pentito e salvato, a rubare la fede e a strappare il segreto della regalità di Gesù Cristo

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«In Lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra. Egli è prima di tutte le cose, tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio»: la celebrazione di Cristo che Paolo affida alla comunità di Colossi è vorticosa, un impegnativo crescendo che ci porta a riconoscere che tutta la storia è riassunta da Gesù.

La maestosità di questo inno stride con la scena evangelica, che ci porta sotto la croce, in un momento in cui Gesù è dileggiato, schernito, impotente e sofferente: sarebbe stato facile scendere dal patibolo, magari con un miracolo spettacolare, farsi celebrare come sovrano, farsi servire. Le voci dei capi del popolo, dei soldati, del ladrone sono l’eco delle nostre resistenze ad accettare la sovranità di Cristo, che si inserisce nell’alleanza tra Dio e il suo popolo – come ci ricorda la prima lettura – e che si nutre di fiducia, di amore, di abbandono: in fondo, ognuno di noi vorrebbe un Dio forte, un Dio appariscente, un Dio potente, che risolve i problemi con uno schiocco di dita.

Gesù è sulla croce, insieme a tutti gli scartati della terra: viene riconosciuto re da un uomo che, nella sua vita, ha sbagliato tutto, che si accorge che, nel morire di quest’uomo, vi è qualcosa che supera infinitamente il nostro immaginario su Dio, che intuisce la presenza della salvezza. Dalla croce, da un luogo che era considerato maledetto dagli Ebrei e che i Romani non si concedevano perché troppo infamante, Gesù promette il Paradiso, promette l’eternità, promette la vita che non tramonta e il perdono dei peccati: sovranità di Cristo è riuscire a trasformare il luogo più deserto della terra, quello spazio che ogni uomo e ogni donna abitano da soli, lo spazio della morte, in luogo di vita, di promessa, di comunione.

Gesù non lo rende un luogo per i perfetti, per chi non ha sbavature, per chi è a posto: è il luogo dell’accoglienza per chi ha il coraggio e la fiducia per portare la propria vita, con le sue mancanze, con le sue speranze, con la disperazione per i tanti momenti passati a inseguire traguardi effimeri. Il ladrone si accorge che la sua umanità, che ha inseguito la ricchezza, il possesso, il guadagno disonesto e prevaricatore, non è all’altezza dell’umanità di Cristo, che ha vissuto per gli altri, che «passò beneficando e risanando tutti» (At 10, 38), che vive il tradimento e la morte come il dono totale di sé: e trova la forza di affidarsi a questa umanità originaria, bellissima, riconciliata, in cui possiamo scorgere la pienezza di Dio. La regalità di Cristo in croce è la possibilità di un’umanità nuova, docile alla volontà di Dio, capace di vivere solo di amore, anche quando le nubi si addensano e la morte e il peccato sembrano trionfare: un’umanità che ci viene donata dalla vicinanza di Dio, che si fa carne e che non si vergogna di chiamare fratelli e sorelle noi, con le nostre fragilità, con le nostre mancanze, con i nostri sbagli, noi che chiediamo il ricordo buono di Gesù.

San Giovanni Crisostomo, un padre della Chiesa greca vissuto tra il IV e il V secolo, commenta:

«Questo ladrone con la sua fede ha rubato anche il Paradiso. Nessuno prima di Lui ha mai sentito una simile promessa: né Abramo, né Isacco, né Giacobbe, né Mosè, né i profeti, né gli Apostoli. Il ladrone entrò prima di tutti loro. Ma anche la sua fede oltrepassò la loro. Ha visto Gesù tormentato e lo ha adorato come se fosse nella gloria, lo ha visto inchiodato a una croce e lo ha supplicato come se fosse sul trono, lo ha visto condannato e ha chiesto la grazia come a un re. O ammirabile ladrone! Hai veduto un uomo crocifisso e lo hai proclamato Dio».

Siamo tutti a imparare la vita, a rubare la fede, a strappare il segreto della regalità di Gesù Cristo… da un ladrone, pentito e salvato.

 


Con il dono di questa omelia don Sandro De Gasperi si congeda dall’appuntamento settimanale su questa pagina. Giunga a don Sandro un sincero apprezzamento e tanta gratitudine per il servizio che ci ha fatto dall’inizio dell’estate fino ad oggi.

Il testimone ritorna ora a don Vito De Vido, parroco di Canale d’Agordo e di Vallada. Con il suo tipico humor, ci ha detto che – dopo il “calvario” per l’incidente e la lunga riabilitazione –  deve rassegnarsi a stare fermo in casa il più possibile e pertanto avrà più tempo da dedicare a pregare, riflettere e scrivere le omelie per il sito diocesano. Così mostra come si possa fare di necessità virtù…