Era inverno, faceva freddo, la neve scricchiolava sotto i piedi, il cielo risplendeva di stelle. Una carrozza si arrestò alla dogana, alla periferia di una città di montagna. La sentinella chiese ai viaggiatori: «Dichiarate nome e professione!».
«Io mi chiamo Gennaio…», disse il primo, avvolto in una pelliccia, rosso in viso, con una barba bianca. «Amo le feste, distribuisco mance e doni, e per questo molti sperano in me!».
Il secondo era un buontempone: «Voglio che il mio prossimo si diverta e mi piace divertirmi anch’io, visto che ho poco tempo: solo ventotto giorni e ogni tanto me ne aggiungono uno. Sono il principe Carnevale, ma viaggio in incognito col nome di Febbraio».
Il terzo era magro come la quaresima. Studiava il cielo, essendo astrologo, e sapeva predire il tempo. All’occhiello della giacca portava un mazzolino di violette. «Ehilà, professor Marzo! – gridò il quarto – Di là c’è uno scatolone per te, credo che sia un uovo di Pasqua!».
Però non era vero. Il quarto viaggiatore era un gran burlone e si chiamava Aprile. Era un tipo strano: si comportava da allegrone, ma poi si metteva a piangere senza una ragione al mondo: un po’ sole, e un po’ pioggia, insomma.
Poi scese una ragazza, con un vestito color verde e un mazzolino di fiori nei capelli, che profumava l’aria. La giovane si chiamava Maggiolina e si mise a cantare, come faceva mentre andava a spasso per i boschi. Ed era molto brava.
«Fate largo alla signora Giugno!», urlò il cocchiere. Era una giovane dama, bella e altera. Sembrava ricca, e diceva che ogni anno, nel giorno più lungo, dava una festa in modo che gli ospiti potessero gustare i piatti della sua fornitissima tavola. Con sé aveva il fratello minore.
Costui era grassottello, in abito estivo e con un gran cappello di paglia. Si chiamava Luglio. Era in maniche di camicia e, nonostante il freddo, sudava molto.
Poi scese mamma Agosto, affannata e accaldata. Vendeva frutta all’ingrosso ed era proprietaria di molti ettari di terreno. Sapeva lavorare quanto e più dei contadini; lei stessa andava nei camp, e a mezzogiorno ristorava i lavoratori con cibi e vino freschi.
Dopo di lei, si presentò un noto pittore: «Mi chiamo Settembre e tutti mi conoscono, ma i boschi più di ogni altro: sotto il mio pennello le foglie cambiano colore, si tingono di paonazzo, di giallo e di bruno dorato, i toni che preferisco». Lui dipinge sul tralcio i grappoli d’uva e spreme nel suo boccale il vino nuovo. Quando se ne va, insieme alle vacanze, i ragazzi lo rimpiangono.
Lo seguiva Ottobre, un anziano gentiluomo signorile, sempre occupato con le sue terre e con la passione della caccia. Esce al mattino col suo cane e col fucile e, camminando per i boschi, riempie il suo carniere di noci e di castagne.
L’undicesimo era molto raffreddato e tossiva da far pietà. Tra uno starnuto e l’altro era assai impegnato a fornir legna per i camini e per le stufe. Novembre, così si chiamava, non era certo un tipo allegro; aveva intorno a sé un perenne alone di nebbia.
Infine, sbarcò l’ultimo viaggiatore, nonno Dicembre, con uno scaldino. Tutto infreddolito, aveva in braccio un piccolo abete: «Lo crescerò, finché tocchi il soffitto e si possa adornarlo con palline, candele colorate e angioletti. E l’angioletto che sta sulla cima, a Natale possa scendere per dare la Buona Novella…».
Il doganiere si rivolse ai 12 viaggiatori e li avvertì: «Ogni passaporto è valido solo per un mese!».
La parabola è tratta da un racconto dello scrittore danese Andersen. Così termina: «Ritirerò i vostri passaporti e, scaduto il mese, scriverò le note relative alla vostra condotta. Finito l’anno, credo che anch’io saprò dirvi che cosa i 12 viaggiatori avranno portato in regalo a me, a voi, a tutti, ma per ora davvero non lo so! Forse non lo sanno neanche loro. Si vive in tempi così strani!».
Fabrizio Caramagna: «La luce sbatte contro i muri di gennaio, si allunga sui rami nudi di febbraio, guizza nei fiori di marzo, si allarga sulle foglie di aprile, esplode nei prati di maggio, riempie tutto il cielo di giugno, risplende ancora a luglio e agosto, poi a settembre vibra e si ritrae, a ottobre vaga sperduta, a novembre si si assottiglia come un vetro e a dicembre si frantuma in tante piccole schegge che feriscono gravemente il giorno».
Renzo Pezzani: «I bimbi lo sanno che i mesi dell’anno tra grandi e piccini son dodici in tutto. Se ognuno ha il suo fiore, se ognuno ha il suo frutto: nessuno è, tra loro, più bello o più brutto. Son tutti fratelli, ognuno ha un mestiere: chi cura i piselli, chi porta un paniere, chi pota, chi innesta, chi ara, chi miete, chi porta una brocca, d’acqua a chi ha sete; chi versa uno scroscio di pioggia lucente…Nessuno sta in ozio, guardando la gente. Più bella famiglia nessun vedrà mai.Son dodici mesi, e tutti operai».