«Sono convinto che il fenomeno migratorio interpellerà le nostre Chiese ancora per tanto tempo e questa previsione ci carica di grande responsabilità». Così si concludeva l’intervento di mons. Domenico Mogavero, vescovo emerito di Mazara del Vallo alla due giorni di confronto e approfondimento sul tema “migrazioni e migranti”, che ha impegnato l’8 e il 9 gennaio i Vescovi del Triveneto con tre rappresentanti per ogni diocesi della Regione – laici, sacerdoti e diaconi a Cavallino (Venezia), presso la Casa di spiritualità S. Maria Assunta.
Tante sfaccettature
L’appuntamento annuale di aggiornamento organizzato dalla Conferenza Episcopale Triveneto ha dato voce e volto a un fenomeno epocale, offrendo fin dall’inizio dell’incontro un elenco di questioni a cui le migrazioni rimandano, con invito stringente a riflettere e a prendere in seria considerazione le numerose sfaccettature, a partire dall’ “altro”, colto come risorsa o minaccia, facendoci carico anche delle paure delle persone e dei popoli verso coloro che arrivano da altri Paesi e «destabilizzano abitudini, costumi, culture, religioni».
Il vescovo Enrico Trevisi di Trieste ponendo una serie di domande ha richiamato i quattro verbi che riassumono il compito delle comunità cristiane: accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti. Con una consapevolezza: governare i flussi migratori è complicato, non ci sono soluzioni facili ed è importante non cedere alla trappola delle polemiche; «le regole saranno sempre frutto di mediazioni e sempre in un processo evolutivo».
Il sociologo Stefano Allievi dell’università di Padova ha messo il dito sulla piaga del calo demografico progressivo e dell’invecchiamento della popolazione. È necessario affrontare le questioni in relazione fra loro: immigrazione ed emigrazione sono da studiare insieme, dentro il contesto della recessione demografica (che dura da 25 anni!), superando luoghi comuni e riflettendo con dati alla mano e lungimiranza.
La mobilità come chiave di lettura e l’esigenza di superare l’irregolarità
Una chiave di lettura importante che il professor Allievi ha consegnato: la mobilità è circolare e ha diverse forme; il nomadismo è una costante della storia. «Si tratta anche di uscire dalla distinzione in categorie, tra richiedenti asilo e migranti economici (di cui c’è molto bisogno). L’accoglienza va governata e non ci si può limitare ad essa, ci vogliono politiche di integrazione – dall’imparare la lingua all’inserimento nel tessuto culturale di un Paese, dal fornire strumenti all’offrire riconoscimenti importanti anche sul piano simbolico (ad esempio la cittadinanza alle seconde generazioni) – e bisogna essere disposti a spendere risorse per questo; non si possono avere accoglienza ed integrazione a costo zero. Più integrazione significa più sicurezza». Allievi ha concluso evidenziando l’importanza che la Chiesa ha nell’incidere sul dibattito pubblico e nei rapporti con le realtà istituzionali e la politica.
Un focus serio sulle migrazioni deve prevedere linee operative che risolvano l’irregolarità. È ancora il sociologo ad affermare: «O sapremo ricreare canali di immigrazione regolare, che oggi non esistono più, o continueremo a nuotare nel mare dei problemi dell’immigrazione irregolare. È giusto controllare i confini, è compito dello Stato ed è importante sapere chi entra e chi esce, ma questo non significa costruire muri».
Migrazioni bibliche ed esperienze del Maghreb. far entrare i migranti nell’agenda pastorale
Il movimento di uomini e popoli nella Sacra Scrittura è stato il tema sviluppato da don Antonio Bortuzzo, biblista della diocesi di Trieste, che ha ripercorso parole e racconti biblici per far risaltare il rapporto con il “forestiero”, le “ragioni e le riletture in chiave teologica del migrare di popoli, famiglie (compresa la Sacra Famiglia) e persone nella storia”. Bortuzzo ha sollecitato i presenti a provare a rileggere l’oggi, la nostra epoca alla luce di queste pagine ed anche a comprendere come sia possibile trasformare cammini spesso segnati da morte, odio, conflitti e tragedie in percorsi e “porte” di speranza”.
Apprezzata la testimonianza di mons. Mogavero, che ha narrato esperienze vissute nella diocesi siciliana che ha guidato per oltre 15 anni fino al 2022, con riflessioni anche sul modello delle Chiese del Maghreb, «realtà numericamente assai modeste, inserite nel contesto dell’Islam, sistema religioso, politico e culturale massicciamente maggioritario. Comunità autenticamente evangeliche che realizzano il senso delle due parabole evangeliche del lievito e del sale, proprio perché sono totalmente immerse e, in qualche modo, disperse nella massa alla quale danno sapore e fermento», restituendo il dono ricevuto attraverso l’accoglienza di chi bussa alle loro porte.
Come riferisce la nota di sintesi della CET, il presule ha raccontato come le comunità cristiane possono e sono sempre più provocate ad essere luogo e occasione di incontro per genti provenienti da più parti: «C’è da avviare nella Chiesa una riflessione più ampia a partire dal fenomeno migratorio per ripensare, alla luce della realtà, un nuovo modo di dialogare con il mondo a cui raccontare la freschezza e la bellezza del Vangelo. Il rapporto con i migranti, che sono volti concreti e non oggetti, esca finalmente dalla marginalità pastorale o dall’emergenza per farli entrare di diritto nella nostra agenda pastorale e nella vita delle nostre Chiese».
Alcune possibilità concrete a livello pastorale: creare occasioni di carità solidale e di “ecumenismo della carità”, favorire l’inserimento e la partecipazione di persone e famiglie migranti cattoliche nelle comunità, la purificazione del linguaggio e il coraggio di alcune scelte profetiche. C’è uno stadio intermedio nel cammino verso l’integrazione: l’inclusione e la convivenza pacifica.
Certo l’integrazione è un punto di arrivo e nasce dall’educare. È indispensabile dedicare tempo all’ascolto e alla conoscenza per poter fare proposte sensate e trovare soluzioni agli innegabili problemi.
Le risonanze dei bellunesi
Con il Vescovo Renato hanno partecipato alla due giorni per la Chiesa di Belluno-Feltre il diacono Francesco D’Alfonso, direttore dell’Ufficio di pastorale della Carità, don Augusto Antoniol direttore dell’Ufficio di pastorale della Missione e Paola Barattin dell’equipe dell’Ufficio Scuola.
Le risonanze dei bellunesi evidenziano l’interesse e le domande suscitate dall’appuntamento veneziano. Il vescovo Renato, sottolineando che la Chiesa ha assunto nel corso della storia volti diversi nel contesto sociale in cui era inserita, afferma che nel nostro tempo essa assume il volto migrante, che va riconosciuto. Queste giornate di studio e dialogo “ci hanno dato un insieme di elementi e una chiave di lettura significativi” per pensarci dentro questa parabola delle migrazioni e chiederci come questo fenomeno interpella anche la nostra Chiesa locale.
Il diacono Francesco richiama il comune terreno dei diritti umani sul quale lavorare con le Istituzioni, curando poi le competenze specifiche. «Non ci deve essere dicotomia tra fede e carità» – sottolinea ulteriormente – «la Chiesa è chiamata sempre più ad animare e sensibilizzare su questi aspetti, superando pregiudizi e semplificazioni. È chiamata a coinvolgere per responsabilizzare le persone».
Don Augusto, ripercorrendo quanto ascoltato e condiviso, evidenzia la necessità di considerare seriamente i dati della demografia in rapporto a migrazioni in entrata e in uscita dai nostri Paesi europei. Accogliere è un’esigenza di sopravvivenza. Ricordando la sua esperienza missionaria in Niger, il sacerdote racconta fatti positivi di integrazione di immigrati dal Benin, dalla Nigeria, dal Burkina Faso, che hanno dato impulso al lavoro artigianale e alla falegnameria della comunità nigerina dove è stato missionario fidei donum.
Paola sottolinea la sfida che il movimento di persone rappresentata per le nostre comunità parrocchiali, da vivere innanzitutto nella vita quotidiana, nelle relazioni con famiglie immigrate, con migranti cristiani e di altra religione, con lavoratrici e lavoratori che aiutano le persone più fragili, i nostri anziani, che in vario modo sostengono la nostra economia.
Valorizzare l’esperienza dei giovani
Il cambiamento culturale e l’esperienza positiva che vivono i giovani, in particolare gli studenti nelle loro classi, nei viaggi e negli scambi, superando stereotipi e pregiudizi sui coetanei di altre provenienze ed appartenenze, sono valori grandi. Sul piano storico il meticciato ha già vinto, non esiste una “identità veneta” in senso stretto; per questo è importante farsi le domande giuste ed utilizzare un linguaggio che tenga conto del principio del “piacere” della convivenza e dell’aiuto reciproco.
La Chiesa, è stato ribadito nel dibattito e nel lavoro di gruppo a Cavallino, con il suo sguardo aperto, universalistico, con la bellezza inespressa del cristianesimo e della Parola di Dio che crea relazioni, con l’attenzione educativa, può accompagnare il cambiamento, essere profetica nei confronti delle Istituzioni cercando obiettivi comuni, aiutando a “non far naufragare l’umanità”, in primis attraverso un sussulto di coscienza.
Papa Francesco, intervistato da Fabio Fazio domenica scorsa, ha invitato a leggere il libro “Fratellino” (Amets Arzullas Antia – Ibrahima Balde, Feltrinelli 2021), regalato lo scorso anno a tutti i vescovi: la storia di un 13enne guineiano partito alla ricerca del fratellino emigrato in Europa e mai arrivato. Una lettura che farà bene anche a noi per riprendere la riflessione partendo dalla vita concreta di chi cerca vita fuggendo dalla propria terra e spera in un modo nuovo di stare insieme.