A cura di don Roberto De Nardin (5ª domenica del tempo ordinario)

Il filo d’oro della Parola

Lasciamo che la debole forza del filo percorra e ripercorra la trama e l’ordito del nostro cuore. E sia stoffa per la vita

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“Camminare sul filo del rasoio”; “perdere il filo del discorso”; “rimanere appesi ad un filo”; “esporre per filo e per segno” e quanti altri ancora. Quanti sono i modi di dire e le espressioni figurate che hanno come protagonista un semplice e sottile corpo allungato di sezione cilindrica, spesso di fibra vegetale, che si chiama “filo”. Una presenza non molto appariscente, che “cammina” spesso sottotraccia, alle volte persino trasparente, che però sostiene, dirige, tiene unito ciò con cui viene a contatto – pensiamo anche solo al filo che tiene attaccati i nostri bottoni!  In questa domenica, Pasqua della settimana, intercettiamo ancora una volta un – o meglio “il” – filo che unifica, attraversa e alimenta l’evento del Signore risorto che incontra il suo popolo in cammino nella storia: il filo d’oro della Parola. E in questa domenica, in modo ancora più particolare, la liturgia sottolinea il suo valore di senso per ogni credente, di linfa per la vita.

La Parola… un filo che a volte si intreccia a fatica nella dura e ruvida stoffa di cui è fatta la nostra esistenza. «I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, svaniscono senza un filo di speranza». La vicenda di Giobbe è straordinaria nel leggere dentro l’abisso del cuore dell’uomo: un abisso di dolore e non senso in cui ogni risposta perfetta diventa banale, ogni catechismo imparato risulta artefatto, ogni religione si scopre insufficiente, e la fede si scompagina completamente, verso lo strappo con Dio. Perché il dolore innocente? Perché l’ingiustizia del debole per la vittoria del malvagio? Perché venire al mondo e soffrire? Perché Dio c’è e non agisce? Perché, perché? Ed è qui che si realizza la forza del filo sottile: anche se di poco, anche se con un solo filamento, esso fuoriesce dai nodi e continua ad andare avanti. Il male c’è, ma non ha l’ultima e definita sentenza; c’è sempre una speranza che, da sola, può strapparci dall’oblio: «Ricordati, Signore, che la mia vita è un soffio». “Ricordati”: parola della fiducia che, da sola, ci immerge nel cuore appassionato di Dio, in cui ogni figlio non può non trovare posto.

Ancora fili che si intrecciano, mentre ci viene raccontata la giornata di Gesù in quel di Cafarnao, agli albori della sua missione galilaica. La casa, il deserto, la piazza: tre luoghi diversi che rappresentano anche i nostri vissuti, fatti di quotidianità, di lavoro, di relazioni, di silenzio e solitudine. Tre ambienti in cui si dipana la matassa della Parola e si intreccia con l’esistenza, creando nuovi arazzi di guarigione, di preghiera e di annuncio. C’è una Parola che ci racconta di Dio e sulla quale possiamo specchiarci nella relazione più intima con Lui; c’è una Parola che ci legge nel profondo e ci guarisce dai nostri spettri e dalle nostre “febbri” di egoismo; c’è una Parola che non può essere solo per noi ma che va portata fuori, manifestata attraverso la libera adesione di una gioia che contagia.

Il filo continua il suo corso e siamo tirati da lui mentre ci attraversa. È la confessione di Paolo che alla complessa comunità di Corinti non nasconde il suo bisogno di annunciare la Parola: un dovere impellente che non parte solo da uno sforzo di volontà, ma dalla ferrea consapevolezza di essere ormai “cucito” dalla Parola stessa. Che sia allora l’invito e la preghiera per questa nuova tappa del nostro cammino celebrativo: diventare partecipi del vangelo, lasciando che la debole forza del filo percorra e ripercorra la trama e l’ordito del nostro cuore. E sia stoffa per la vita.