A cura di don Renato De Vido (30ª domenica del tempo ordinario - anno A)

Il grande comandamento

Dio non sopporta l’“ateismo” di chi nega l’immagine divina che è impressa in ogni essere umano

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Non ci sarà sfuggito che la domanda precisa di quell’esperto a Gesù è così: «Maestro, qual è il grande comandamento?». Non “il più grande”. Il grande, come dire: non serve fare paragoni. Tipo: se vado a Padova e chiedo “del Santo”, non serve neanche specificare di chi si tratta.

1. Non è curiosità linguistica. Diventa la chiave di lettura della risposta, che si ampia all’infinito. Non è più neanche una curiosità giuridica, come quando noi ci interessiamo sul grado di importanza dei vari decreti e delle varie leggi di un paese. È il desiderio di comprendere meglio il cuore dell’insegnamento biblico, dando per scontato che sarà difficile scovarlo. Per Gesù è un’occasione d’oro. Alla domanda provocatoria del fariseo può soltanto dire che l’amore è totale. Non si può amare parzialmente né a intermittenza.

2. Proprio la ricerca del nucleo più importante permette agli uomini di buona volontà di progredire nella vita. Chi non ricorda ciò che scriveva testualmente santa Teresa di Gesù Bambino nella sua autobiografia:

«Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l’amore è eterno. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione».

3. Già pronta l’obiezione: ma che cosa vuol dire amore? Come si vive e come si manifesta? Non a tutti è dato di vivere a quelle altezze indicate dal Signore Gesù, sono pochi eletti quelli che ce la fanno a interpretare fedelmente il vertice di tutta la legge e di tutti i comandamenti.

Arriviamo a capire che il comandamento grande si proietta in tre direzioni, verso Dio e verso gli altri e verso se stessi. Si illuminano o si oscurano a vicenda; si sostengono o si compromettono assieme. Papa Francesco è arrivato a dirlo con fermezza inusuale:

«Dio non sopporta l’“ateismo” di chi nega l’immagine divina che è impressa in ogni essere umano. Quell’ateismo di tutti i giorni: io credo in Dio, ma con gli altri tengo la distanza e mi permetto di odiare gli altri. Questo è ateismo pratico. Non riconoscere la persona umana come immagine di Dio è un sacrilegio, è un abominio, è la peggior offesa che si può recare al tempio e all’altare» (21 ottobre 2020).

Se dall’ascolto della Parola noi ce ne andassimo scoraggiati per non potercela fare a raggiungere le mete che si propongono al credente, si farebbe un cattivo servizio all’umanità intera. Se, invece, il vangelo indica una direzione, addita una priorità, incoraggia chi ci prova, allora siamo in comunione con tutti i discepoli di Gesù. E ci viene questa domanda: perché non provare?