A cura di don Ezio Del Favero

117 – Non ti scordar di me

I fiori sono le primizie delle praterie celesti, la nostra futura patria…

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Accanto a un villaggio di montagna vi era un piccolo bosco, ultima traccia di una foresta che era stata in gran parte sostituita da campi di lino, papavero e colza. Si poteva raggiungere quel bosco, circondato da ampi fossati, solo da un ponte chiuso con un cancello. Quel bosco era come una foresta in miniatura, buia, folta, sempre silenziosa. Un nonno aveva la chiave del cancello e talvolta accompagnava i suoi nipoti a fare una passeggiata fino all’interno di quel bosco, se facevano i bravi. Ma era cosa rara, perché i piccoli erano vivaci e il vecchio non amava tanto i luoghi umidi.

Una nipotina in particolare era innamorata di quel bosco, specialmente dei fiori che riusciva a scorgere durante le passeggiate col nonno. Non c’era erba anche gracile – ai margini verdi dei sentieri, o nei fossati, o nei dintorni del mulino, o nei vecchi tetti di paglia, o nelle terre incolte – che non fornisse alla ragazzina del materiale per i suoi bouquet di fiori. Dal convolvolo profumato di miele ai ciuffi di vischio caduti con il ramo spezzato dal vento autunnale, dalle clematidi selvatiche con i loro semi alle margherite e ai ginestrini gialli che sbocciavano ai margini dei campi, ella raccoglieva tutto e non tornava mai a casa se non carica di fasci fioriti e di ghirlande. Chi entrava nella casa della ragazzina, poi, la prendeva in giro: «Con la saggina si fanno le scope e non i bouquet da mettere nei vasi!».

Un giorno la piccola vide un fiore particolare, ma non lo colse. Stava passeggiando sola e libera ed era riuscita a ottenere le chiavi del cancello. Pur sapendo che nel bosco non vi erano bestie feroci, la ragazzina vi si addentrò non senza un po’ di inquietudine essendo quello un posto di serpenti, che da sempre la terrorizzavano. Dotata di un bastone di nocciolo, batteva i cespugli facendo rumore. Abbandonando il sentiero, si addentrò nel folto del bosco fino ad arrivare ai bordi di un fossato. Il folto fogliame degli alberi che lo ombreggiava bloccava talmente i raggi del sole di mezzogiorno che l’acqua immobile sembrava uno specchio nero dove si riflettevano le querce e i canneti e, attraverso le fessure dei rami, filtravano l’azzurro del cielo e le nuvole leggere che vi vagavano. Non lontano dalla riva dove si trovava, accanto all’acqua, scorse una bellissima piantina che sapeva chiamarsi Myosotis, come aveva appreso a scuola, ma che la gente comune chiamava Non-ti-scordar-di-me.

In quell’istante la ragazzina, che era appassionata di fiabe e di racconti fantastici, si ricordò di una leggenda persiana che aveva letto. «Un angelo fu scacciato dal Paradiso per essersi innamorato di una mortale e, per penitenza, fu costretto a seminare sulla terra, ai quattro angoli del mondo, la graziosa piantina di Myosotis (letteralmente “orecchio di topo”). Assolto l’incarico, l’angelo ritornò dall’amata, tutta inghirlandata dei fiorellini azzurri di Myosotis o “Nontiscordardime”, ritrovando insieme a ella, divenuta immortale, la pace eterna del Paradiso perduto».

La piccola osservò attentamente i fiorellini di Myosotis, di un azzurro affascinante, che si stagliavano sull’acqua cupa e sul verde oscuro come turchesi su velluto nero. Sarebbe stato facile coglierli. Con la sua bacchetta avrebbe potuto attirare a sé il fragile stelo e raccogliere il bel fiore. Ma pensò: «Se la lascio dove il Creatore l’ha posta, la pianta dai fiorellini azzurri si riprodurrà il prossimo anno e incanterà altri occhi oltre ai miei, se anch’io non tornassi di nuovo». E, gettando un’ultima occhiata al fiorellino solitario, la ragazzina se ne andò tutta contenta.

Spesso, nei giorni della felicità come nei giorni delle lacrime, la ragazza si ricordò del grazioso quadretto che aveva ammirato, e quei fiorellini le evocavano l’immagine dei sorrisi e delle carezze materne che sono le prime e più grandi gioie della nostra infanzia, il cui ricordo dovrebbe accompagnarci per tutta la vita. La Provvidenza, dolce e materna, prendendosi cura di noi, donandoci vita, pane e luce, al fine d’incantare il nostro viaggio ci dona i fiori, graziose vestigia del Paradiso spesso perduto; i fiori sono le primizie delle praterie celesti, la nostra futura patria…

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La parabola – tratta da un racconto della scrittrice francese Cécile Joséphine Julie Lavergne – aiuta ad immergersi nel mondo incantevole della natura, il cui fascino spesso sfugge. Il Non-ti-scordar-di-me, simbolo del movimento letterario del Romanticismo, rappresenta il desiderio, l’amore e lo sforzo metafisico di accostarsi all’infinito e all’irraggiungibile, tratti tipici della corrente romantica. Una delle ricorrenze più famose in cui si regala questo fiore è la Festa dei nonni.