«Il nostro territorio alla luce dei nostri sogni». Questo il titolo dell’incontro tra il vescovo Renato Marangoni e i sindaci e gli amministratori del Bellunese. In sala Muccin del Centro Giovanni XXIII, nel pomeriggio del 7 novembre, l’incontro è moderato da Stefano Perale, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale sociale e del lavoro. Prendono la parola alcuni rappresentanti di associazioni e gruppi, presentati solo con il nome di battesimo: Enrico («non c’è vero popolo senza ricostruzione di un consenso sociale»), Rudy («come attivare un circolo virtuoso tra amministrazione e corpi sociali?»), Massimo che racconta le esperienze di dialogo tra la comunità cristiana e quella marocchina, di religione musulmana, Michele, che interviene sul tema «abitare la propria terra» e riassume Laudato si’. È come se in sala ci fosse papa Francesco, i cui principi esposti nella Evangelii gaudium (il tutto è superiore alla parte, l’unità è superiore al conflitto, la realtà è superiore all’idea) costituiscono altrettante direttrici di azione anche della politica.
Le parole chiave dei primi interventi sono riassunte da Michele Cassol in stupore, cura, occupazione, responsabilità, salvaguardia. Nei Consigli comunali o in giunta le parole che circolano di più sono bilanci, bollette, tagli, servizi, richieste. A notare lo scarto tra le due serie, quasi lemmi di due vocabolari diversi, è il primo intervento, a cura di Simonetta Buttignon, del Comune di Belluno: «queste parole sono avulse dalla realtà, ma tanta bruttura e tanta acredine nascono dal fatto che queste parole non sono considerate significative per il nostro procedere. Dobbiamo abituarci a pensare che queste parole sdolcinate hanno ricaduta concreta nel vivere assieme». E aggiunge alle parole chiave «confronto».
Roberto Padrin, sindaco di Longarone e presidente della provincia, spezza una o più lance a favore degli amministratori ed esorta la sua Provincia a una narrazione comune su salute, famiglia, lavoro e relazioni, che godono di buoni parametri in tutte le valli del Bellunese. «Bisogna lavorare molto sulle famiglie» conclude, lasciando tuttavia un velo deposto sul problema a tutto tondo della denatalità.
Per Giuseppe Casagrande, sindaco di Pieve di Cadore, «non dobbiamo bearci del positivo. Tante volte Comuni e comunità cristiane sembrano file di messicani che fanno la siesta al sole del pomeriggio, sombrero ben calato in testa, in attesa di non si sa chi». Invidia il tempo in cui si andava dal vescovo a protestare per avere una parrocchia o si bloccava il ponte Cadore per suscitare l’attenzione sui problemi e nota con preoccupazione, lui sindaco, «la mancanza di laici preparati a esercitare un ministero nelle comunità». Andrea Pontello fa sentire la voce del robusto Comune di Ponte nelle Alpi, il quale riconosce nell’asilo nido e nella scuola dell’infanzia parrocchiale la capacità di creare un ambiente colloidale tra i paesani di lungo corso e i nuovi arrivati: «un momento incredibile di coesione per la comunità», lo definisce. Come elogia gli Scout: «ci sono moltissimi ragazzi che fanno l’esperienza dello Scoutismo, anche da Longarone; sono attentissimi all’aspetto climatico e ambientale».
Già, i giovani: Viviana Fusaro, appena eletta allo scranno più alto di Feltre, vuole esaltare il ruolo dell’associazionismo giovanile senza dimenticarsi degli anziani: «cercarli, coinvolgerli, farli raccontare». Per Nino Deon, sindaco di Rivamonte, gli anni sono difficili. Così Ivan Minella, sindaco di Santa Giustina: sente la mancanza di pianificazioni di lungo periodo, viste le emergenze da Vaia in giù. E Gianpaolo Bottacin, che Vaia ha dovuto gestirla, «si fa veramente fatica a sognare», dice, dal momento che «gli amministratori sono in bilico tra processo civile, penale e Corte dei conti», dice con un pizzico di humour per raccontare la pura verità. Fa appello alla Chiesa perché aiuti i giovani a riconoscere il limite tra il bene e il male («in sala c’è la mia maestra di dottrina», e la saluta).
La nostalgia per il passato ecclesiale è anche del senatore Luca De Carlo: «non c’è più l’Oratorio», ammette. Come Padrin, sa di poter raccontare, a Roma e nel resto d’Italia, di un territorio bellissimo non solo per il paesaggio, ma anche per le risorse umane, senza paura di essere sanamente campanilisti: «esaltare il campanile ha a che fare con la biodiversità», senza scadere nel campanilismo che rima con egoismo.
A concludere l’incontro il Vescovo: «le comunità non devono essere isole e il territorio della provincia ha bisogno di ritrovare la logica del rapporto tra le comunità: sento che non riusciamo a leggere il territorio». Questo è un aspetto che condividono la società civile e quella ecclesiale: «per le poche risorse ministeriali – ricorda il vescovo – avremo 47 preti sotto i settant’anni per 158 parrocchie». Ragion per cui a breve ci sono in diocesi trenta collaborazioni tra parrocchie e la mappa di esse sarà inviata ai sindaci. Esprime il desiderio che questo tempo di confronto diventi ritmico, a esempio con una giornata assieme ogni due anni. Annuncia la prossima Visita pastorale. Sui giovani, cita i 280 che ogni estate si prestano al volontariato presso la Villa Gregoriana e il Villaggio San Paolo, ma anche il risultato dei gruppi sinodali: «ci siamo abituati a non porci più la questione che le nuove generazioni sono a disagio con noi». Riconosce l’abbandono degli anziani, ogni qual volta c’è da aumentare il numero delle comunità affidate a un parroco, o addirittura dire che in una delle cinque, sette, otto parrocchie affidate a un parroco non si celebrerà più la Messa tutte le domeniche.
«Il nostro territorio alla luce dei nostri sogni» era il tema dell’incontro. E la questione del sogno? «Il modo migliore per realizzare un sogno è svegliarsi», aveva detto don Luciano Todesco, nel suo intervento tra quelli iniziali. «Le persone non ci chiedono di stare sul sogno, ma di raccontare le traiettorie possibili sulle quali convergere», ancora il Vescovo.
don Giuseppe Bratti