Incontri all’insegna di una fraternità semplice e di una fede capace di tracciare il cammino nelle proprie giornate, fattesi sempre un po’ più difficoltose nei movimenti a motivo dell’avanzare dell’età. Così potremmo riassumere gli scambi fra me e Matteo (Pio) Mottes, che ha concluso il suo lungo pellegrinaggio terreno la sera di sabato 14 marzo scorso a Feltre, dov’era accolto da poco più di un mese, in seguito ad un ricovero prolungato presso l’ospedale di Agordo.
Nato il 7 febbraio del 1925 ai Montas di Rivamonte, era per lui una vera gioia ritrovare in casa per la visita e la Comunione colui che non è solo il parroco della sua comunità di adozione – Frassenè – ma pure di origine. Quando una persona, un compaesano, un parrocchiano entra nella vita eterna, si rincorrono con facilità i ricordi, le occasioni di scambio, il bene ricevuto. Accade così penso per tutti, ancor di più in paesi numericamente piccoli, ma non per questo di “serie D”… Da noi il vuoto si percepisce, perchè salutiamo una persona familiare. La discrezione di Matteo ha fatto sì che vivesse in modo ritirato, ma presente.
Manifestava la gioia nel poter salutare il sacerdote; lui che di confratelli ne ha conosciuti molti nei tanti anni di presenza presso il nostro amato Seminario Gregoriano. E me li citava, vedendoli scorrere innanzi agli occhi: da coloro che già vivevano il ministero, ai giovani che in formazione. Ha sempre portato tutti nella preghiera sincera, ne sono testimone.
La mattina di oggi (domenica), don Antonio De Fanti mi ha richiamato il servizio prolungato di Matteo, al quale portava i libri da rilegare anche una volta rientrato a Frassenè. Ieri sera il nostro vescovo emerito mons. Andrich riprendeva il ricordo grato per “el Pio”, informandosi spesso circa la sua salute. Ricordo i suoi occhi lucidi quando una volta pensai di fargli salutare per telefono don Renato De Vido: viveva la semplicità fanciulla.
Negli ultimi anni si è fatta ancor più ricca di attenzioni e dedizione la vicinanza della sorella Giovanna (per noi familiarmente “Giovannina”) e dei suoi amati nipoti Abele e Giambattista insieme alla sua famiglia.
Lo salutiamo ora, con la certezza che potrà ricevere il promesso “premio dei giusti”. Me lo rivedo innanzi agli occhi, con capo chino e mani giunte, esclamante: “Grazie, grazie” per il dono della Comunione. Molti di noi preti, legati e formati nel Seminario di Belluno, penso oggi gli potremmo restituire la stessa, affettuosa e orante gratitudine.
don Fabiano Del Favero