Terzo centenario della morte

In ricordo del vescovo Polcenigo

Il 20 aprile 1724 moriva il vescovo Antonio Polcenigo; fu l’episcopato più lungo nella storia della diocesi di Feltre

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Giusto un mese fa, il 20 aprile, ricorreva il terzo centenario della morte del vescovo di Feltre Antonio Polcenigo. Con i suoi quarant’anni di episcopato (1684-1724) è stato il presule che ha battuto il record di permanenza sulla sede feltrina. Un episcopato di uguale durata ebbe a Belluno il bergamasco Giulio Berlendis (1653-1693) che in occasione della nomina del Polcenigo scrisse al Capitolo dei canonici di Feltre parole di lusinghiero encomio nei confronti del giovane presule.

Antonio dei conti di Polcenigo era nato a Fanna, attualmente in provincia di Pordenone, il 18 aprile 1647. La sua nomina ha del singolare in epoca moderna: venne chiamato ad essere vescovo che non era ancora prete. Nel luglio 1683, papa Innocenzo X lo scelse alla sede di Feltre mentre era ancora diacono, l’8 agosto di quell’anno venne ordinato prete e il 1° maggio 1684 consacrato vescovo.

L’episcopato più lungo, ma non più carico di attività memorabili. Quattro le visite pastorali svolte in quattro decenni, un sinodo, del quale non ci son giunti né atti né decreti. Se confrontato con il ventennio del suo vulcanico successore, Pietro Suarez, il governo del Polcenigo può esser battezzato “andamento lento”; non disdegnava trascorre in estate lunghi periodi di ritiro nella villa costruita sul colle di Tast a nord di Feltre.

Don Nilo Tiezza con una pennellata magistrale ne colse bene l’indole: «Un uomo di grande pietà, che dedica molte ore del giorno alla preghiera, dà largo spazio al sentimento religioso, nella predicazione predilige temi che parlano più al cuore che all’intelletto, favorisce le pratiche devozionali che possono maggiormente suscitare nelle anime l’amore di Dio e la carità fraterna». Giunto a Feltre, Polcenigo indagò sulla presenza del Quietismo, corrente spirituale eterodossa, trovati pochi seguaci si intrattenne in colloquio con loro ammonendoli amabilmente a lasciare quella via. L’amabilità, non il drastico interventismo lo contraddistinse. Sostenne la nascita e organizzazione della Confraternita della Dottrina Cristiana. Ai suoi tempi il decisionista Rovellio (1584-1610) aveva proceduto con piglio perentorio, ingiungendo a tal proposito ordini dall’alto. Non così il Polcenigo, che pazientemente attende che nelle singole parrocchie maturino le condizioni perché si giunga ad un avvio sicuro dell’associazione. Diffonde la vita di pietà con opuscoli, due in particolare: sulla passione di Cristo e sulla preparazione alla morte.

Il suo più grande merito è stato di aver dato vita al Seminario secondo i requisiti richiesti dal Concilio di Trento. Prese in mano con piglio deciso il completamento dei lavori edilizi iniziati a metà Seicento dal vescovo Lugo. Nel 1705 cominciava finalmente la vita collegiale di maestri e seminaristi. Da quell’anno i giovani aspiranti al sacerdozio da Santa Giustina a Pergine iniziarono a far vita comune. Polcenigo chiamò validi docenti, fondò la biblioteca, per la cappella commissionò ad Andrea Brustolon la splendida scultura dell’Assunta.

Nella lapide dedicatagli in morte dal Capitolo si legge una delle lodi più belle per un prelato: “morendo non ebbe nulla da lasciare, perché da vivo erogò ogni sua sostanza ai poveri”.

Il 23 aprile 1724 venne tumulato nel sepolcro dei vescovi in cattedrale. L’ultimo presule ad esservi sepolto.

don Claudio Centa