«Oltre le etichette. Dialogo aperto sull’omosessualità»

La lampada dell’amicizia per illuminare l’inconscio

Nella serata del 1° dicembre a Treviso è stata presentata l’incompiuta ricerca dottorale di don Francesco Silvestri

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Una serata particolare per la serie dei “Dialoghi d’autore” che l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Treviso promuove. Venerdì 1° dicembre si è parlato di un libro postumo, in dialogo con un autore che ci ha lasciati anzitempo, e che ha lasciato un senso di rimpianto per quest’opera incompiuta eppure così carica di speranzose aperture. È stato presentato il volume di don Francesco Silvestri, opera postuma curata da don Rinaldo Ottone e recentemente pubblicato dall’Editrice Àncora sotto il titolo «Oltre le etichette. Dialogo aperto sull’omosessualità».

A fare gli onori di casa il vescovo Michele Tomasi, che ha sottolineato la rilevanza dell’evento, sia per la grata memoria verso don Francesco, sia per la delicatezza del tema. Gli è parso anche un modo di manifestare quel dialogo che la fede cristiana crede esserci con quanti ci hanno preceduto nella patria celeste.

Di seguito il vescovo di Chioggia Giampaolo Dianin, che della tesi era il relatore, ha voluto rendere omaggio a don Francesco, presentando questo lavoro di ricerca incompiuta su un tema delicato, che è stata anche un’esperienza di vita, un cammino teologico, perché il lavoro di tesi si è intrecciato con la vita di prete di don Francesco, comprese le ferite della vita fino alla malattia e alla morte. Lo ha suggestivamente paragonato al cammino dell’esodo: il popolo che aveva passato il mar Rosso non è effettivamente entrato nella terra promessa, ma ha compiuto un cammino. È quel che il curatore ha appuntato all’inizio: «Quando ci si mette in gioco le cose accadono. Ho in mente il giorno preciso in cui Francesco Silvestri ha preso la decisione di mettersi completamente in gioco; da quel momento è iniziata una rivoluzione nella sua vita, ma sarebbe meglio parlare di una vera e propria risurrezione».

Dianin e Silvestri si erano conosciuti a Roma nel 1989, sodali di un bel gruppetto di studiosi di teologia morale alla scuola di un pensatore emergente come Klaus Demmer, e con la possibilità di avvicinare anche un luminare del calibro di Bernard Häring che viveva i suoi ultimi mesi a Roma. Nel 2015 don Francesco ha bussato alla porta di don Giampaolo, chiedendogli di essere guida per il dottorato, momento di ripartenza della sua vita, per rimettersi in gioco, nel capire da studioso la vicenda umana di chi si scopre omosessuale. Come possiamo accompagnare le persone omosessuali? Ha studiato a fondo le tante teorie psicologiche, di cui è data prova nelle pagine del volume. Resta un saggio incompiuto, segno di una difficoltà a tirare conclusioni oggi. Prima di ciò, don Francesco ha approfondito le domande legate al magistero ecclesiale, forse la sezione più compiuta del lavoro. Sicché la questione dell’omosessualità resta una pietra di inciampo per la morale cattolica, perché richiede un nuovo pensiero.

Don Rinaldo Ottone, curatore dell’opera, ha sottolineato il valore scientifico del volume pur nella sua incompiutezza. Il magistero ecclesiastico si è pronunciato chiaramente dal 1975 in poi con un giudizio deciso, parlando di «atti intrinsecamente disordinati». Eppure sull’altro fronte, quello delle scienze umane, don Francesco capiva che era necessario rivedere sulla base di altri presupposti un simile giudizio. Noi stessi negli ultimi quarant’anni abbiamo rovesciato il nostro modo di vedere le persone omosessuali: siamo passati da una riprovazione radicale e socialmente condivisa a un’accettazione serena, altrettanto socialmente condivisa. Il fatto è che un simile capovolgimento nel nostro modo di pensare è avvenuto quasi senza che ce ne accorgessimo.

Don Francesco capiva che era molto importante evitare di cavalcare semplicemente e acriticamente il pensiero dominante, perché altrimenti si sarebbe stati facilmente preda di qualche moda o di qualche ideologia più o meno sotterranea. Il problema era però quello di elaborare un criterio di giudizio che sapesse dare luce a una questione molto più ampia e complessa di come poteva sembrare a uno sguardo superficiale. Qui gli venne l’idea di tornare a Freud, in particolare a uno strumento intuito dal grande maestro, ossia quello di riuscire a elaborare una scienza dell’inconscio. Se è vero che l’inconscio è paragonabile a un iceberg, significa che la parte sommersa – che rappresenta l’inconscio – è molto più grande della parte emersa, ossia della parte cosciente. Si tratta dunque di una scienza assolutamente fondamentale, ma come si fa a fare una scienza di una realtà di cui non si è coscienti? Sarebbe come descrivere la faccia nascosta della luna, quella che non abbiamo mai visto. È qui che don Francesco ha l’idea di sviluppare un’intuizione tanto preziosa quanto semplice; perché è vero, l’inconscio è inaccessibile, almeno finché lo si esplora da soli. Ma su questo argomento non ci sono dottori, non ci sono esperti. Scrive don Francesco: «Nella relazione, uno tiene in mano una lampada accesa ed entra insieme all’altro nelle stanze più buie e forse inesplorate dell’anima dell’altro, affinché quest’ultimo possa vedere la sua parte nascosta». L’amico è colui che può entrare insieme a te nelle tue stanze più buie: solo con lui puoi andarci dentro e scoprire quelle cose che tu, da solo, non vedi e non puoi vedere. Non basta il terapeuta. Ci vuole qualcuno che ti voglia bene. Perché il linguaggio stesso che si usa per smascherare l’inconscio non può essere quello scientifico, bensì quello dell’amicizia.

Nel dibattito che ne è seguito si è avvertita l’urgenza di fare proprio l’invito implicito dell’Autore, quasi di raccogliere la sua eredità, quella cioè di affrontare questo tema con pazienza e umiltà, senza cedere alla facile tentazione di arrivare subito a giudizi definitivi e perentori, perché quello che in essa vi è in ballo tocca un aspetto molto profondo della vita umana in generale, che ha ancora bisogno di essere capito, e che quindi deve tenere ancora in sospeso il dovere di elaborare una valutazione conclusiva.