Uno dei due grandi poemi epici che attribuiamo ad Omero – l’Odissea – è tutto impostato sul celebre viaggio di rientro da Troia del suo protagonista, il re Ulisse, verso la sua patria, Itaca. È un grandioso componimento dalle mirabolanti peripezie e dai noti incontri che l’astuto Odisseo deve affrontare per giungere alla sua casa; è un grande classico dell’umanità, perché ha al suo centro uno dei suoi aspetti più interessanti: la “nostalgia”, “dolore del ritorno”…
Iniziamo da questa domenica anche noi un nuovo tempo, che la sapienza della Chiesa chiama proprio Avvento, e che ci inserisce tutti, ancora una volta, in una dinamica di “nostalgia”. Non solo quell’afflato struggente che genera vertici di poesia, nemmeno forse quella esistenziale della distanza degli affetti – che tutti, ahinoi, abbiam provato – ma una nostalgia un po’ diversa: l’attesa (non certo indolore) del ritorno di Dio. Già questa affermazione ci interpella e ci dona un moto che ci muove dal profondo; instilla in noi una mancanza che ci mette in cammino; restituisce valore al nostro tempo, in cui – lo sappiamo bene – la fragilità, la sfiducia, le contraddizioni e, perché no, la tanta superficialità, sembrano bloccare ogni attesa. Allora l’Avvento è dono che riaccende la nostalgia di Dio; è tempo proprio del credente, appunto perché ogni credente è…in attesa (spesso incerta) di un ritorno a cui si affida: il ritorno di Dio. Ma se Dio ritorna è davvero andato via? Si è temporaneamente assentato?
«Ritorna per amore dei tuoi servi»: il grido drammatico nella lirica di Isaia, nostro compagno di viaggio in queste domeniche, espresso in un frangente di estremo dolore per Israele, deportato e saccheggiato dalla presenza del Tempio, ci spinge a sentirci anche noi coinvolti in questa commovente preghiera: ritorna per amore, ritorna! Interessante: per la prima volta qui nella Bibbia Dio è detto “padre” e “redentore”. Ogni certezza in esilio è crollata, resta una sola consapevolezza: Dio torna a manifestarsi, e ha un volto di padre che modella l’argilla di cui siam fatti; ha il nome di redentore, colui che riscatta per la libertà. La nostalgia è lasciar parlare il cuore verso il ritorno di questo Dio, nelle pieghe spesso incerte delle nostre vite, spesso lacerate o, peggio, assuefatte a non stupirsi più di nulla. Dio invece si manifesta ancora, se lo attendiamo; un padre e un redentore rialzerà il mio sguardo se lo aspettiamo con un amore che soffre, piange, ride, spera, ama: con amore di nostalgia!
«Vigilate!». È il comando di Gesù nella similitudine raccontata dal vangelo di Luca. “È come uno partito per un viaggio…ha ordinato al portinaio di vigilare”. Vigilare è innanzitutto una postura: significa stare desti, spesso con fatica, guardare con attenzione, non lasciarsi scappare i segnali di una presenza che si manifesta. Vigilare è l’ouverture che ogni anno apre il nuovo anno liturgico, la visuale sulla quale impostare ogni orizzonte spirituale: il Signore c’è ma la sua presenza non è evidente; la sua azione avviene, spesso sorprendente anche se sottotraccia; le sue vie, tuttavia, non sono le nostre. L’Avvento è anche tempo di conversione: Dio non c’è dove penseremmo… nè dove vorremmo che ci fosse! La sua presenza si cela nelle pieghe della storia e quella di tanti che incontriamo e che incontreremo, in questo grande “viaggio” della nostra esistenza…
Terminata la guerra, Ulisse ci impiega dieci anni per tornare alla sua Itaca, fra mille avventure. La sua forza è stata l’astuzia, spesso in lotta col volere degli dei. La nostra vita, breve e lunga è anch’essa, seppur travagliata, è ben diversa: è un ritorno alla casa dalle tante porte in cui incontreremo Dio, padre e redentore, “degno di fede”, che dall’argilla ci ha creati, nella luce senza tramonta ci aspetta e in questo tempo ci accompagna, venendo continuamente incontro a noi, vigilanti nella nostalgia del suo abbraccio.