Chiudo con questa puntata lo spazio dedicato alla serie Visite pastorali dell’Archivio Diocesano di Feltre e parlo del primo utilizzo della stampa per le visite pastorali.
Ad introdurre l’uso della stampa per i documenti diocesani fu il vescovo Pietro Maria Trevisan, marchese Suarez, che resse la diocesi di Feltre dal 1724 al 1747, dimostrandosi in quei vent’anni un vero vulcano di iniziative pastorali e dando prova di equilibrio e saggezza di governo. Aveva solamente 34 anni quando venne nominato vescovo ed era prete appena da otto.
Il Saurez nacque a Roma il 4 novembre 1690 da genitori appartenenti alla nobiltà di Ceneda e in quella città venne ordinato sacerdote (16 agosto 1716) per le mani del vescovo locale Francesco Trevisano, zio materno di Pietro Maria. Lo zio volle che il nipote fosse suo stretto collaboratore e lo nominò suo vicario generale.
Il vescovo Francesco aveva messo in piedi nel castello in cui risiedeva una tipografia per le necessità della diocesi e Pietro Maria poté apprezzare questo mezzo per l’attività pastorale. Nel giro di un anno zio e nipote vennero destinati ad altra sede: primo a partire fu Pietro che nel 1724 venne destinato alla sede di Feltre, mentre l’anno seguente lo zio venne nominato vescovo di Verona. Dopo che Francesco lasciò Ceneda, il tipografo Domenico Bordoni si trasferì con la sua strumentazione al servizio di Pietro Maria Trevisan a Feltre: prendeva così vita la Tipografia del Seminario, la prima di Feltre. Il ruolo che la tipografia del Seminario ebbe nell’irrobustire la vita culturale della città fu notevole, in modo particolare l’edizione di opere dei docenti contribuì in maniera determinante ad accrescere la fama della scuola. Ma la tipografia servì anche per una più rapida e capillare diffusione di circolari e documenti curiali ai sacerdoti sparsi per la diocesi. Il sagace (e salace) cancelliere vescovile, il canonico Vittore Villabruna, fece dare alle stampe una serie di moduli a stampa per una serie di documenti in cui le parti fisse si ripetono invariabilmente: dispense, licenze, decreti di nomina. E tra questi anche il dettagliatissimo questionario per la seconda visita pastorale, fatto pervenire in anticipo ai parroci, cosicché avessero il modo di preparare le informazioni richieste quando il vescovo sarebbe arrivato ed accorciare in questo modo i giorni di permanenza del vescovo nelle parrocchie (foto 1: ADF, Visite pastorali, 15, 18r).
Il vescovo poi aveva inviato anche una circolare, assai dettagliata, con la quale dava istruzioni ai parroci circa lo svolgimento della visita. La si può vedere nelle foto 2 e 3 (le immagini sono due in quanto essa è stata rilegata nel registro dei verbali: ADF, Visite pastorali, 15, 17v/20r). La preparazione della visita è descritta ai numeri 2 e 10 (II e X): il parroco radunerà i fedeli nei giorni precedenti all’arrivo del vescovo a pregare per il buon andamento della visita, mentre il giorno precedente l’arrivo del vescovo il “padre precursore” avrebbe predicato al popolo. Questi era uno dei gesuiti appartenenti alla piccola comunità, che si era insediata a Feltre grazie all’interessamento del vescovo. Mentre il vescovo era attento alla preparazione spirituale della visita, voleva con decisione che venissero assolutamente accantonate manifestazioni esteriori puramente folcloristiche e chiassose: niente accensioni di falò e sparo di mortaretti per celebrare il suo arrivo.
Assai ricco di direttive è il punto 5 (V) nel quale il vescovo dà disposizioni circa l’amministrazione della cresima (e la scelta dei padrini era anche allora un punto dolente).
Ma è interessante soffermarsi sugli aspetti materiali dell’accoglienza del vescovo e dei collaboratori. Il vescovo raccomanda che non si ecceda nell’offrire cibo e distingue la prima tavola, per i suoi collaboratori ecclesiastici, e la seconda tavola, per i servitori: in altri termini questi secondi mangeranno dopo i primi, quello che i primi han lasciato.
Per vitto morigerato il vescovo intendeva che a pranzo venisse servito un antipasto, la minestra, lesso, arrosto e il “pospasto”, cioè l’ultima portata con cui si intendeva il formaggio o la frutta; per la cena antipasto, minestra, arrosto e dessert finale.
Resta da chiedersi quanti erano i commensali che un parroco vedeva sedersi alla tavola della sua canonica per un primo round mangereccio (ecclesiastici) e per un secondo round (laici). Ne siamo informati nel calendario a stampa che venne inviato da Feltre nelle singole parrocchie per informare circa i giorni precisi in cui il vescovo sarebbe rimasto in parrocchia per la visita. Il corteggio non era di poco conto. Gli ecclesiastici erano otto: oltre al vescovo, «l’auditore [istruiva le cause ecclesiastiche in luogo del vescovo], il canonico convisitatore, il teologo precursore, il cancelliere, il segretario, il caudatario [reggeva lo strascico della cappa magna del vescovo], il maestro di cerimonie», i laici erano in tutto sei: «il cameriero, un aiutante di camera per monsignore, un lacchè, uno staffiero, un cocchiero, il nunzio [il cursore della curia]». Insomma il seguito del vescovo era costituito da tredici persone. I mezzi di questa comitiva per spostarsi erano costituiti da sei cavalli, dei quali due utilizzati per la carrozza, ed alcuni muli ed anche ad essi la parrocchia visitata doveva dar da mangiare.