A cura di don Renzo Roncada (12ª domenica del tempo ordinario - anno A)

L’Onnipotente è un debole

L’amore, anche se sconfitto, anzi proprio perché sconfitto, ha sempre e ancora tutto da dare

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Dobbiamo temere Dio… perché Dio è un debole. Sembra una contraddizione. Cerco di spiegarmi. Di Dio bisogna avere paura non tanto perché può farci sparire nel centro rifiuti della Geenna. Dio non riscatta nessuno col terrore. D’altra parte, se Dio è preoccupato anche solo di un capello della mia testa, non può accettare a cuor leggero che io vada a finire in quella specie di inceneritore delle immondizie di Gerusalemme, che si chiama appunto Geenna. E se si prende cura di due passerotti, non potrà certo trascurare la sorte di un figlio per quanto sia balordo. No, non è in questo senso che bisogna temere Dio. Occorre invece avere paura perché ti affida una missione che ti espone a tutti i rischi. C’è da aver paura di un Dio che ti impone… di non aver paura. Forse è ingarbugliato questo discorso, come è ingarbugliato il cuore dell’uomo.

Per chiarire, affidiamoci alla prima lettura. Il profeta Geremia non chiede altro che vivere tranquillo e mantenere rapporti cordiali con tutti. Invece Jahwè gli affida una parola che brucia, che denuncia, che minaccia. Così Geremia diventa, suo malgrado, un guastafeste, un uccello di malaugurio sottoposto a ostilità, a calunnie, ad accuse infamanti, a persecuzioni. Quando Dio affida una missione, la tua vita tranquilla va in frantumi. Il peggio è (ed è proprio quello che noi non riusciamo a capire) è che Dio non interviene per riparare il profeta dai colpi mancini, anzi lo mette nella mischia e lo lascia solo.

Lo stesso avviene per il discepolo di Cristo. Sta sotto la protezione di Dio, ma rimane esposto a tutte le prove. Nessuna immunità divina contro i pericoli. D’altra parte anche al Maestro è successo così: Dio padre non si è precipitato a staccare il figlio dalla croce. Sulla croce Dio si rende volontariamente debole, non usa la sua autorità, il suo prestigio, la sua divinità; conserva unicamente la potenza dell’amore e del perdono.

Dove va ricercato, allora, il motivo per cui non dovremmo temere dal momento che Dio non interviene in maniera miracolosa per evitarci le difficoltà, le incomprensioni, gli attriti? Mi pare che la risposta sia nascosta in quella frase un po’ misteriosa: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del padre vostro». Per cui la fiducia, la tranquillità, stanno nella certezza che Dio stesso è coinvolto nella nostra vita.

Noi vorremmo Dio come scudo, come parafulmine, incaricato di assorbire i colpi, e così per noi finirebbero i problemi. Invece Dio è con noi “dentro di noi”. Noi vorremmo che la fede ci proteggesse, invece la fede ci espone. La fede apre un varco e attraverso quel varco passano tutte le tempeste; ma passa anche la presenza di Dio; ed è quello che conta.

San Paolo, nella seconda lettura, ci assicura su quello che ho cercato di dire: «Ma il dono della grazia non è come la caduta». Sul Calvario si incontrano e si incrociano, nella stessa croce, il peccato dell’uomo che uccide il Cristo e il dono di Dio che offre suo Figlio. Ma mentre il peccato, nonostante l’apparente vittoria, finisce lì, l’amore, da lì, «si riversa in abbondanza su tutti gli uomini». L’amore, anche se sconfitto, anzi proprio perché sconfitto, ha sempre e ancora tutto da dare.


Con il dono di questa omelia don Renzo Roncada si congeda dall’appuntamento settimanale su questa pagina. gli giunga un sincero apprezzamento e tanta gratitudine per il servizio offerto dalla prima domenica di Quaresima fino ad oggi. Il testimone ora passa a don Renato De Vido, parroco di Vigo, Lorenzago e Pelos.