Giovedì 17 novembre a Treviso

Mettere al centro la pace è possibile

Intervista ad Andrea Riccardi in occasione della prolusione al nuovo anno accademico del nostro ISSR

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Diverse centinaia di persone hanno partecipato, giovedì 17 novembre, al Dies Academicus con il prof. Riccardi. Erano presenti, tra gli altri: il vescovo di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo; il vescovo di Belluno Feltre, Renato Marangoni; il vescovo eletto di Vicenza, Giuliano Brugnotto; a nome del vescovo di Treviso, impossibilitato a partecipare, il vicario generale, mons. Mauro Motterlini.

«È tradizione ormai che questo appuntamento si svolga in maniera molto partecipata, ed è un bel segno», ha fatto notare nel suo saluto mons. Pizziolo, che ha ricordato l’attualità del tema di quest’anno, quello della pace.

Don Andrea Toniolo, preside della Facoltà teologica del Triveneto, ha annunciato che la serata di giovedì ha aperto una serie di iniziative legate alla pace e al sessantesimo anniversario dell’enciclica “Pacem in terris”. Durante la serata è stato consegnato il diploma agli studenti che hanno concluso il proprio ciclo di studi.

«No, noi non siamo impotenti rispetto a quanto sta accadendo in Ucraina. Mettere al centro la pace è possibile, e mi ribello al fatto che si dica che ciò vuol dire essere putiniani». Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha tenuto giovedì 17 novembre, a Treviso, nel tempio di san Nicolò, la prolusione per l’inizio dell’anno accademico 2022-2023 dello Studio Teologico interdiocesano Treviso-Vittorio Veneto e dell’Istituto superiore di Scienze religiose Giovanni Paolo I. Quanto mai attuale il tema: “I cristiani, la guerra e la pace”. La registrazione dell’incontro è disponibile su canale youtube.

Di fronte a una platea molto numerosa, il prof. Riccardi ha spiegato, in modo appassionato, come sia possibile mettere al centro la pace in una situazione complessa come questa, nella quale «rischiamo tutti di essere dei gattini ciechi».

Lo si può fare con gesti concreti di solidarietà e accoglienza, come quelli messi in atto negli ultimi mesi nei confronti dei rifugiati ucraini, lo si può fare interessandosi ai problemi che sembrano lontani da noi, alle grida di guerra che ci giungono da tutto il pianeta, lo possiamo fare nella preghiera, maturando «il pensiero di Cristo», poiché «noi sappiamo che la pace è il disegno di Dio sulla storia».

Nella concretezza dell’attuale situazione, Riccardi, che ha spiegato di conoscere bene il popolo ucraino, «esperto nel soffrire», ha fatto notare che anche gli stessi esperti degli Usa stanno spiegando che questa guerra non potrà essere vinta dagli ucraini in modo risolutivo. Il rischio, come sta avvenendo in altri scenari, a cominciare da quello siriano o da quello del Corno d’Africa, è che «la guerra si eternizzi, che assistiamo a guerre senza fine».

Prima dell’incontro, Riccardi ha risposto ad alcune domande, ricordando in premessa il compito di pace e accoglienza della Comunità di Sant’Egidio, da lui fondata, oggi molto impegnata, sempre nella prospettiva della pace, nei corridoi umanitari per l’accoglienza dei migranti: «Nata da più di cinquant’anni, sente l’invito a includere e non a escludere. Noi siamo nella società dell’io. La sfida dell’inclusione è a molti livelli, oggi forse la sfida principale è quella dei migranti e dei rifugiati».

Si sta evocando in tutti i modi la pace. Quel è l’approccio più appropriato?

Io parlo di pace per l’Ucraina e per la Russia. E nel farlo non sono certo un putiniano. Recentemente, la Grande preghiera per la pace, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio con i leader delle religioni e conclusa dal Papa al Colosseo, ha avuto la funzione di dare voce alle religioni, per le quali la pace è l’obiettivo. Ma direi che la pace è l’obiettivo di ogni sana politica, la pace è addirittura l’obiettivo di ogni guerra, anche se oggi le guerre si stanno eternizzando.

Quali comunità cristiane e quali cristiani?

Ci vorrebbe un libro. La pace riguarda i cristiani, noi non possiamo lasciar cadere dalle nostre mani la bandiera della pace, dalla nostra bocca le parole della pace, dai nostri occhi la visione della pace. La pace è nostra, e Gesù è la nostra pace. La pace è il nome di Dio. Qualcuno potrebbe dire che questa è solo teoria. No, perché la pace nel senso pieno, che è anche sicurezza, benessere, giustizia, questa pace deve vivere nella terra degli uomini, ed è l’aspirazione di tutti gli uomini. Ma oggi questa pace è negata. Qui c’è un punto che vorrei ribadire, cioè il fatto che abbiamo, invece, riabilitato la guerra. La mia generazione è testimone della guerra dei nostri anziani. Questi anziani sono scomparsi, sono morti i testimoni della Shoah e abbiamo riabilitato la guerra, e l’abbiamo lasciata crescere, per esempio in Siria. Una guerra che dura da più di dieci anni e che non ha fine. Ma il mondo globale dev’essere un mondo di pace, anche perché nel mondo globale le guerre si comunicano l’una all’altra. Si comunicano e non si concludono.

Le comunità cristiane, che pure si sono mobilitate all’inizio del conflitto, anche a livello di accoglienza, faticano a parlare di pace, qualche decennio fa il tema era molto più presente nelle comunità, nei gruppi, nelle associazioni. Come se lo spiega?

La domanda è molto giusta, e la conseguenza è che questa è colpa nostra. Nelle preghiere dei fedeli sentiamo pregare per la comunità cittadina, per le famiglie, ma meno di frequente per la pace. Questo ci dice quanto la nostra mentalità sia fuori dalla storia. Eppure, siamo a rischio di guerra atomica! Come società abbiamo dimenticato la sfida della guerra, perché ci ritenevamo in pace e la guerra, che pure esisteva, era la guerra degli altri.

Le recenti manifestazioni per la pace sono state criticate da chi oggi difende la causa dell’Ucraina. L’accusa principale è quella di una equidistanza che non corrisponde alla realtà delle cose, nel conflitto in atto.

L’aggressore è chiaro, ed è la Russia. E l’aggredito è l’Ucraina. Ma quello che io sostengo è che non si può investire solo sulla lotta armata, ci vuole anche un grande investimento sulla diplomazia. Se ciò non avverrà, ripeto, la guerra in Ucraina si eternizzerà. Quanto all’insensibilità alla causa del popolo ucraino, io vorrei ricordare che negli anni Ottanta sono stato più volte in Ucraina, che era sotto l’Unione Sovietica, ho incontrato gli indipendentisti, ho colto il desiderio di indipendenza del popolo ucraino, mi fanno un po’ ridere queste vicinanze dell’ultima ora. Noi vogliamo la pace soprattutto per il popolo ucraino.

Questa è anche una guerra dell’ecumenismo mancato?

Questa guerra ha messo in crisi l’ecumenismo, ma soprattutto, a dire il vero, c’è un grande problema nel mondo ortodosso, in primo luogo tra Mosca e Costantinopoli per l’autocefalia ucraina, e poi una grande difficoltà degli ortodossi ucraini con Mosca. Eppure, dobbiamo dire la verità: ucraini e russi sono nati dallo stesso battesimo, hanno avuto in comune la stessa storia cristiana. Una volta papa Francesco disse: “Questa è una guerra tra cristiani”. E aveva ragione.

A questo proposito, papa Francesco sta usando parole molto forti e accorate ma non viene ascoltato…

Le parole di papa Francesco sono molto equilibrate, e nemmeno equidistanti. Dice: «Noi non siamo neutrali, siamo per la pace». Ha invitato il presidente Putin a non far cadere il suo Paese nella spirale della guerra e il presidente ucraino ad aprirsi ai negoziati. Io direi che il Papa è tollerato. Parla di pace e si pensa: «È normale che il papa parli di pace». In realtà, papa Francesco rappresenta una vera profezia di pace, e i suoi discorsi sulla pace sono paragonabili al bellissimo appello fatto il 27 marzo 2020, in piena pandemia, quando disse: «Siamo tutti sulla stessa barca». Mi sembra che papa Francesco, in questi otto mesi di guerra ci dica: «Se non siamo in pace, la barca dell’umanità affonda». A parte lui, in questo momento non ci sono più voci che guardano le cose dal punto di vista globale dell’umanità, ma siamo in una parzializzazione e frammentazione.

Bruno Desidera