All’età di 83 anni è mancato Padre Armando Agostini originario di Colle Santa Lucia

«Padre Armando era davvero un uomo di Dio!»

A Colle Santa Lucia, suo paese natale, la gente ha una fede semplice, ma solida, una fede da montanari

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Dall’Etiopia ci ha scritto Padre Sisto Agostini in data 13 marzo: «Vi saluto da Addis Abeba dove vivo abbastanza sostenuto di salute per impegni anche di carattere ministeriale. Qui in Etiopia e tra i Gumúz, a causa anche delle lotte nello stato dell’Amara e nel vicino Sudan, i nostri missionari sono molto limitati nei movimenti, come il resto della popolazione nello Stato del Benishangul. Vi faccio pervenire la notizia della perdita, per la missione comboniana e per la Chiesa, di mio fratello  Padre Armando Agostini. Cercherò di inviarvi una nota ricordo, che il nostro istituto sta preparando e che sarà pubblicata fra qualche settimana. Vi mando solo la notizia e le tracce essenziali del suo percorso nella vocazione sacerdotale e missionaria».

Il decesso di Padre Armando

Precisa Padre Sisto: «Padre Armando Agostini è spirato ieri sera, 12 Marzo, nella casa assistenziale dei Missionari Comboniani a Castel d’Azzano (VR). Il Funerale sarà venerdì 15 marzo a Castel d’Azzano. Armando era nato a Rucavà di Colle Santa Lucia il 18 marzo 1940, ordinato Sacerdote il 26 giugno 1966 a Colle per imposizione delle mani e invocazione dello Spirito da parte del Vescovo Monsignor Muccin dopo una lunga preparazione con i Missionari Comboniani negli USA e poi a Verona in Italia. Partito subito per la missione in Uganda, fu poi imprigionato ai tempi del presidente Amin nella sua zona di Moyo (accusato di aver pregato per la Pace in Uganda, cosa che offendeva i dirigenti del paese), trasferito vicino a Kampala in una prigione da dove i più uscivano per essere gettati nelle acque del Nilo vicino alle cascate di Jinja. Lui venne salvato per coraggiosa intercessione presso Amin del suo Vescovo Cesare Asili di Lira, portato in Aeroporto e spedito in Italia, sciupato come uno straccio. Venne poi assegnato alle missioni del Malawi dove, ancora mentre si impratichiva con la lingua, venne colto da un’imperdonabile malaria cerebrale che lo scalciò, ora come straccio secco, quasi inetto a tutto, in Italia dove rimase a servizio di diverse comunità  comboniane (Roma, Verona, Pordenone, Cordenons, Trento… azzardandosi anche a chiedere di essere ricevuto nella diocesi di Belluno Feltre), senza avere, distrutto fisicamente e provato anche psicologicamente come era, le condizioni necessarie per essere assegnato  di nuovo a una missione fuori Italia. Lo ha sostenuto sempre una spiritualità sacerdotale e mariana con accento all’offerta immolatrice di se stesso, umile e paziente, possibilmente nascosto agli occhi di tutti, sotto il peso della sua e di Gesù Croce».

Il funerale di Padre Armando

Il 15 marzo, in occasione del funerale di Padre Armando, durante l’omelia Padre Giovanni Munari (Superiore Provinciale dei Comboniani in Italia) ha detto tra l’altro: «Armando è stato un missionario. Siamo qui un gruppo di missionari. Tutti noi che siamo qui, Armando compreso, abbiamo vissuto la nostra vita esattamente così, andando per il mondo, incontrando persone e vedendo il nostro niente moltiplicarsi sotto i nostri occhi. Con niente, la gente si sfamava, si alimentava, riprendeva la sua vita con nuove energie e nuovo entusiasmo. Quante cose abbiamo fatto in questo modo, con 5 pani e due pesci (Vangelo appena letto). Quanta gente abbiamo soccorso. Di solito, alla sera della vita, in un momento come questo, tendiamo a raccontare il nostro vissuto. Credo che anche gli apostoli, quella sera, si siano sentiti importanti. Erano stati coinvolti in qualcosa di straordinario. Qualcuno deve essersi sentito lui il protagonista, l’autore del miracolo. Ma no, nessuno di noi ha mai fatto miracoli. Se qualcosa abbiamo fatto non è perché siamo stati bravi noi ma perché con noi c’era il Signore che ha moltiplicato il poco che gli abbiamo messo a disposizione.

Pensando a questo, mi viene spontanea una preghiera: “Signore, Armando ha terminato la sua giornata. Siamo testimoni che ha distribuito, nei posti dove è passato, quello che ha ricevuto. Non ha tenuto nulla per sé. Ha sempre detto e mostrato che sei tu la risposta, tu sei il cammino e la vita. E le persone che ha incontrato gli sono state riconoscenti proprio per questo, perché, attraverso di lui, hanno incontrato te. Dagli ora la ricompensa promessa a tutti i tuoi servi fedeli”.

Ma c’è l’altro aspetto del racconto del vangelo. Dopo che tutti ebbero mangiato, per gli apostoli la giornata non si concluse lì. Gesù chiese di raccogliere quello che era rimasto, perché nulla andasse perduto. Nella vita cristiana è e deve essere così. Quando Dio agisce, niente deve essere buttato, nulla va perduto. Gli apostoli raccolsero 12 ceste di cibo non consumato.

Qui, secondo me, sarebbe importante che in questo momento noi facessimo esattamente questo lavoro di raccolta, non di cose, ma di vita, di azione di Dio nella quale Armando è stato presente, magari solo come strumento, ma canale importante per permettere a Dio di raggiungere il cuore di tanta gente. Io l’ho conosciuto negli ultimi anni, quando era ancora a Trento, svolgendo la sua attività nella chiesa della Trinità. Vi passava le giornate, mattino e pomeriggio. Cosa faceva? So che accoglieva persone, pregava con loro, consigliava, benediceva, insegnava, cercava di sostenere che fosse in difficoltà. Da quel poco che ho potuto ricostruire, è stata un po’ così tutta la sua vita. Ha percorso un cammino molto suo ma pieno di Dio, pieno di spiritualità, pieno di tenerezza pastorale…».

Padre Armando Missionario

Padre Giovanni Munari ha precisato: «Padre Armando ha vissuto i primi anni della sua vita missionaria negli Stati Uniti, poi la missione in Uganda, intercalata da periodi di servizi in Italia, prima a Roma e poi, negli ultimi anni, a Cordenons, vicino a Pordenone, prima, e a Trento dopo. Non sono in grado di raccontare cosa ha lasciato in questi passaggi. So che molta gente l’ha sempre cercato. Lui era riferimento per i percorsi di fede, per la spiritualità, per i gruppi di preghiera. Aveva tempo e si dedicava interamente in quella che riteneva fosse la sua missione di pastore e di guida.

Cos’è rimasto? Bisognerebbe chiederlo alle persone che lo hanno frequentato. Sono testimone dei legami forti che ha avuto con molti. Apparentemente freddo e distante, fu in realtà una persona attenta e sensibile, che si coinvolgeva nelle problematiche altrui e faceva di tutto perché nessuno si sentisse ai margini o solo.

È stato un uomo radicale in alcune scelte di vita. Per me anche troppo radicale perché anteponeva sempre la fede a tutto il resto. Non gli piacevano i medici. “Abbiamo l’unico vero medico, che cura non solo lo spirito ma anche il corpo”, diceva parlando di Gesù. E io a dirgli: “Sì, ma se hai mal di pancia forse conviene andare anche dal medico”. Non era così per lui e lo è stato fino alla fine. Anche quando la malattia lo ha reso più debole, si è affidato a Dio, non chiedendo a nessun altro di alleggerire la sua sofferenza o le sue difficoltà.

In questa casa di Castel d’Azzano ha passato solo le ultime due settimane. È venuto dall’ospedale in condizioni abbastanza critiche… Nel suo volto ho visto una grande serenità e, in questi ultimi giorni, un’espressione di accettazione fiduciosa di quello che gli stava per succedere e di riconoscenza nei nostri confronti. Le ultime due settimane di vita sono state per Armando di serenità assoluta e di affetto sincero da parte di tutti noi. Al momento del passaggio era con lui Anna, una di queste belle persone di Trento, che gli è stata vicino negli ultimi mesi e che l’ha un po’ accompagnato per mano fino all’incontro con il Signore. La voglio ringraziare per il tempo che gli ha dedicato e per l’affetto che gli ha dimostrato, in Casa Madre e qui, nelle visite giornaliere che gli faceva.

Ora riposerà circondato da confratelli, nel cimitero monumentale della città dove lo porteremo dopo questa celebrazione. Ringrazio la sua famiglia che si è fatta presente, padre Sisto, suo fratello comboniano, che ci ha scritto dall’Etiopia per ringraziarci di quello che stavamo facendo per lui. Armando, sei nella pienezza adesso. Prega per noi, per la tua famiglia e per le tante persone che hai amato su questa terra. Prega per le comunità dove hai lavorato e hai lasciato segni del tuo passaggio. Che siano sempre comunità di fede e di amore per gli altri. Saluta tanti nostri confratelli che incontrerai. E riposa nella pace!».

Il ricordo di Padre “Nyabenda”

Tonino “Nyabenda” Falaguasta classe 1939, missionario comboniano, ha trascorso in Africa buona parte della vita. Ha ricevuto in Burundi il nome di Nyabenda, che significa “nono figlio”. Dopo gli studi a Parigi e a Londra, è stato direttore per sei anni della rivista “PM – Il Piccolo Missionario”. In occasione del decesso di Padre Armando ha scritto: «Padre Armando Agostini era nato a Colle santa Lucia ed è entrato fra i Missionari Comboniani fin da giovane. Era davvero un uomo di Dio. A Colle Santa Lucia la gente ha una fede semplice, ma solida, una fede da montanari. Padre Armando è stato un montanaro anche per quel che riguarda la sua fede. Le scalate del Monte Pelmo (3.168 metri), eseguite ogni anno in occasione delle vacanze, hanno manifestato certamente la sua forza d’animo e la sua ferma volontà di seguire il Signore, in qualsiasi posto dove ha lavorato come prete e come Missionario: negli Stati Uniti d’America, in Uganda, in Mozambico e soprattutto in Italia. Dove è stato, a Pordenone nel Friuli, e nella città di Trento, riusciva a trascinare dietro a sé un sacco di gente, desiderosa di seguire il Cristo e di essere liberata dai mali spirituali e morali. Tutto ciò ha suscitato a volte gelosie che lo hanno obbligato a spostarsi in altri luoghi per svolgere il suo ministero sacerdotale. Era sempre a Dio che innalzava il suo sguardo ed era nel suo nome che scacciava il maligno e implorava la liberazione di tante anime sottoposte a prove morali dolorosissime. Ora padre Armando riposa in pace, quella pace che ha sempre invocato nelle sue preghiere per tutte le persone che accorrevano verso di lui. Ma non per vedere lui, ma per scoprire nelle sue parole e nei suoi gesti la presenza del Salvatore Gesù e del suo Spirito liberatore e santificatore».

Edf e i padri Comboniani