Martedì 30 aprile

Per la festa del lavoro

L’incontro del Vescovo con i dirigenti e le maestranze di Lattebusche alla vigilia del 1° maggio

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Che cosa ci fa un vescovo in mezzo a «una montagna di formaggio»? La domanda forse se l’è posta lui stesso, il vescovo Renato Marangoni, raccontando verso la fine dell’incontro con i dirigenti e le maestranze di Lattebusche, la propria esperienza di giovane casaro, nel lontano 1978: «Ho fatto anch’io tre mesi di lavoro in latteria», ma era la latteria di Crespano del Grappa, ben piccola di fronte alla più grande cooperativa casearia del Veneto, qual è diventata Lattebusche. In mezzo a questa «montagna di formaggio», si è svolto nella tarda mattinata di martedì 30 aprile l’incontro promosso dall’Ufficio diocesano di pastorale sociale e del lavoro, come segno di attenzione della nostra diocesi verso il mondo del lavoro, alla vigilia del 1° maggio. La scelta è caduta sul questa azienda che quest’anno celebra 70 anni di vita.

Per primo ha preso la parola Carlo Zanella, sindaco di Cesiomaggiore, che ha manifestato la piacevole sorpresa avvertita nell’invito per questo momento. Lattebusche rappresenta un orgoglio per il comune cesiolino. La festa del 1° maggio – ha sottolineato – serve a ricordarci che «i lavoratori, in quanto persone, vengono prima del business»; per questo la preoccupazione che la salute e la sicurezza del lavoratore non venga mai messa in secondo piano, come purtroppo quasi quotidianamente è attestato dalle cosiddette “morti bianche”.

Il presidente Modesto De Cet ha rimarcato l’onore di avere in casa il Vescovo, al quale ha ricordato i numeri dell’azienda: 100 soci e 300 dipendenti. «È un’azienda cresciuta nel tempo. È fatta anche di allevatori che lavorano 365 giorni all’anno e con questo lavoro restano sul nostro territorio e ne hanno cura».

Anche il direttore generale Antonio Bortoli ha ringraziato il Vescovo per la sua presenza e ha sottolineato la location, un moderno magazzino organizzato per la sicurezza e la salute degli operatori, che si è reso necessario proprio per mitigare gli effetti dei lieviti e degli altri prodotti della maturazione dei formaggi, che – lo ha detto rammentando il proprio passato – lasciavano un segno sulla pelle del lavoratore. «Celebriamo i 70 anni dell’azienda. Da 15 anni a questa parte, abbiamo ottenuto numerosi riconoscimenti sulla sostenibilità della produzione, attestati di comportamento virtuoso e abbiamo continuato a mantenere il territorio», tramite l’agricoltura di montagna. «Qui non abbiamo avuto incidenti… Tocchiamo ferro, oserei dire… – e poi si è corretto – o meglio prego Dio che non succeda mai nulla».

Di seguito sono stati pronunciati alcuni passi del Messaggio dei Vescovi italiani per la Festa dei lavoratori:

«Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del prendersi cura dell’umanità e del Creato. Lavorare quindi non è solo un “fare qualcosa”, ma è sempre agire “con” e “per” gli altri, quasi nutriti da una radice di gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica comunità… l’articolo 1 della Costituzione italiana assume una luce che merita di essere evidenziata: la “cosa pubblica” è frutto del lavoro di uomini e di donne che hanno contribuito e continuano ogni giorno a costruire un Paese democratico».

«Le politiche del lavoro da assumere a ogni livello della pubblica amministrazione devono tener presente che “non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro” (Fratelli tutti 162)».

«…a chiunque lavora spetta il riconoscimento della sua altissima dignità. Senza tale riconoscimento, non c’è democrazia economica sostanziale».

Particolarmente intrigante il passaggio in cui i Vescovi invitano le istituzioni a creare «le condizioni perché tutti i territori nazionali godano delle medesime possibilità di sviluppo, soprattutto le aree dove persistono elevati tassi di disoccupazione e di emigrazione». Nelle stesse ore, in altri lidi, è all’ordine del giorno l’autonomia differenziata, che è lecito chiedersi se saprà farsi carico di questa istanza. Provocatorio anche il passo in cui si afferma: «Un lavoro dignitoso esige anche un giusto salario e un adeguato sistema previdenziale, che sono i concreti segnali di giustizia di tutto il sistema socioeconomico». Non è scritto “salario minimo”, ma la sostanza è quella. E ancora: «Bisogna colmare i divari economici fra le generazioni e i generi, senza dimenticare le gravi questioni del precariato e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati. Fino a quando non saranno riconosciuti i diritti di tutti i lavoratori, non si potrà parlare di una democrazia compiuta nel nostro Paese».

Dopo la lettura del testo, è intervenuto il Vescovo, che ha rimarcato come il lavoro significhi anzitutto volti di lavoratori, storie di famiglie e di amicizie. «Se smarriamo i tratti dei volti, il lavoro si annoda su se stesso e non si inserisce nella ricerca del bene comune». Ricordando la foto della posa della prima pietra dell’azienda, ha evidenziato la folla che era convenuta per l’evento: quanta strada da allora! Sul lavoro – ha ricordato il Vescovo – c’è anche una visione di fede, che ci rammenta che il Creatore stesso è in qualche modo lavoratore, che questo scenario dolomitico è frutto dell’opera del Creatore. Il Vescovo ha quindi sottolineato l’itinerario che sta portando le Chiese italiane verso la 50ª edizione delle settimane sociali, che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio prossimi. Il tema riguarda proprio la democrazia e la partecipazione, temi urgenti nel contesto socio-culturale che stiamo vivendo. La festa del lavoro sia quindi occasione per cogliere la profondità dell’attività del lavoro: «Sono venuto qui per un incontro in cui si onorino il lavoro e i lavoratori». E per questo ha invitato i presenti a recitare insieme il “Padre nostro”, che è una preghiera intrisa di temi del lavoro, a cominciare dal pane quotidiano.

«…ma liberaci dal male»: il finale della preghiera è stato collegato a un mazzo di fiori, dedicato a chi sul lavoro ha trovato la malattia professionale o la morte. Liberaci dal male, cioè prevalga il bene.

Davide Fiocco