Prendersi cura della persona malata

L’incontro per il presbiterio promosso dall’Ufficio diocesano di pastorale della salute

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Prendersi cura della persona malata come possibilità di relazioni profonde: è stato questo il tema dell’incontro formativo proposto al presbiterio nella mattinata di giovedì 22 febbraio presso il Centro Papa Luciani. Un tema importantissimo, trasversale, estremamente vicino al vissuto di ogni persona, di ogni famiglia e di ogni comunità. Una questione che interpella in modo profondo il ministero stesso del prete.

L’incontro, partecipato da una trentina di presbiteri e promosso dall’Ufficio diocesano di pastorale della salute coordinato da sorella Miriam Lessio, ha visto alternarsi gli interventi di tre relatori operanti presso la nota struttura “Casa tua 2”, centro deputato alla cura dei malati terminali e prezioso fulcro dell’azione delle cure palliative sul nostro territorio.

«Dall’accezione spesso riduttiva, legata al pensiero comune, questa ampia gamma di intervento» – come ha spiegato il dottor Giuseppe Zanne, referente di quest’ambito per l’ULSS Belluno – «ha come fine la presa in carico della persona morente nel suo insieme, affrontando la malattia terminale in tutti i suoi elementi. Per compiere ciò, consapevoli che ogni situazione è unica, è necessario tessere quella complessa rete di intervento in cui sono davvero molti i soggetti in gioco».

Una prospettiva di ampio respiro dunque, ripresa dall’intervento successivo, in cui la dottoressa Elena Sommacal, psicoterapeuta operante nell’associazione “Cucchini”, ha affrontato dal punto di vista esistenziale l’approccio di cura. «Perché proprio a me? Gli altri non capiscono quanto male sto!». Quante domande ed espressioni che accompagnano con la loro dilaniante forza questa fase dell’esistenza. «Eppure, se ci pensiamo bene» – riflette Sommacal – «sono le stesse paure che albergano nel cuore di chi, ancora sano, presta aiuto, anche solo nell’ascolto accogliente».

In questo senso la relazione di cura, oltre ad approcciare la vita nel suo giusto valore, relativizzando i problemi, apre spazi di speranza anche, anzi soprattutto, in chi presta servizio di accompagnamento. Una testimonianza concreta di questo è stata portata nell’ultimo intervento: la voce di Franco Fiamoi, quella di uno dei tanti volontari che si formano nel prezioso accompagnamento dei malati terminali. «Un senso di umanità condivisa» – ha raccontato, non senza commozione – «nasce dalla disponibilità di voler investire ancora del proprio tempo ed energie», per portare a chi comprende che il tempo rimasto è breve quell’“aria fresca della piazza” che dice normalità, coinvolgimento, sentirsi ancora parte importante – e viva!– di una famiglia più grande.