A cura di don Ezio Del Favero

130 – Il topino delle montagne

Più saliva, più il mondo sotto di lui univa come in un abbraccio il lago, la foresta, il torrente, la montagna, la prateria

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Alcuni topolini di montagna vivevano all’interno di tane, dove si riparavano dai rigori dell’inverno sotto lo spesso strato di neve. D’estate lavoravano per raccogliere semi, pigne, baccelli e la sera si riunivano per squittire in coro. Uno dei loro piccoli, di colore azzurrino, educato pazientemente dagli anziani, sapeva danzare elegantemente e camminare con passo svelto sui sentieri.

Un mattino, mentre il topino azzurro metteva il naso nella corolla di un dente di leone, i suoi orecchi si drizzarono. Un suono melodioso prese dimora in lui. Lo sentiva impercettibilmente e continuamente, ma i suoi compagni non sembravano udirlo e si prendevano gioco di lui: «Che cosa t’inventi? Sei diventato matto?». Così il topino si sforzò di dimenticare quella melodia, impegnandosi a fondo nelle faccende quotidiane.

Un giorno, la melodia raggiunse di nuovo il cuore del topolino. Allora si azzardò da solo fino al margine della foresta. Intrufolandosi tra i vecchi tronchi, trovò una lepre e le chiese: «Da dove viene la melodia?». La lepre gli chiese di seguirla. I due attraversarono la foresta che odorava di humus e di funghi. Quando l’erba si alternò al muschio, la lepre sparì, mentre il topino continuò il cammino. In fondo a un vallone scorreva un torrente dal quale nasceva quel canto. Alcune note cadevano a cascata alte e chiare, altre volteggiavano attorno a lui sorde e profonde. Scese sulla riva e si fermò sotto un fiore di iris.

«Benvenuto, piccolo!», gracchiò una rana. «Sono il guardiano del torrente. Ma la montagna da cui esso sgorga è un posto ancora più bello!». «Come faccio a raggiungerla?». «Dovrai camminare a lungo!». Così il topino si diresse verso la montagna. Man mano che il tempo passava, la roccia assumeva un colore azzurrino, simile al suo. Estasiato, ritornò dai compagni per rivelare la sua fantastica scoperta: «Ho visto dei posti meravigliosi e udito una musica celestiale!». Ma i compagni, pensando fosse impazzito, non gli diedero retta.

Il topino, scoraggiato, se ne tornò di nuovo verso la montagna. S’imbatté in un bisonte, sdraiato e sofferente, che confessò: «Sono cieco, ho fame, non ho più forze e non riesco a orientarmi». «Che cosa posso fare per aiutarti?». «Un rimedio ci sarebbe: l’occhio di una creatura potrebbe ridarmi la vista!». Il topino pensò: «Comunque mi resterebbe un occhio!». Così accettò di aiutare il Bisonte, che, ritrovando la vista, si rialzò e, cibandosi, ritrovò le forze. Questi propose al topino: «Sali sulla mia schiena!». Viaggiarono di notte e all’alba si ritrovarono di fronte a una montagna altissima. «In cima si cela la sorgente magica», precisò il Bisonte, prima di andarsene.

 Il topino scalò la roccia e, al tramonto, trovò una grotta. Accanto vide un lupo, che lo tranquillizzò: «Non temere! Sono cieco e senza forze! Solo l’occhio di una creatura potrebbe ridarmi vigore!». Il topino gli donò il suo unico occhio, sapendo di diventare cieco. Il lupo, ritrovata la forza e venuto a conoscenza dei progetti del suo salvatore, gli propose: «Il mio territorio è vasto, dal grande lago alle montagne. Ti condurrò io, sarò la tua vista!». Prese il topino con delicatezza tra le zanne e si allontanò.

I due viaggiarono a lungo, finché il topolino non si sentì appoggiare su una pietra cotta dal sole. In quel mentre percepì la cara melodia che sgorgava da una sorgente. Il lupo: «Siamo arrivati. Vedo un laghetto con la trasparenza delle sue verdi profondità, sulle cui rive i picchi accarezzano il cielo. In basso, la pianura si stende traversata da un filo d’acqua brillante… Ma ora devo lasciarti!». «Come potrò sopravvivere?». Il lupo: «Abbi fiducia!».

Rimasto solo, il topino percepì un battito d’ali e fu terrorizzato quando un volatile lo afferrò tra i suoi artigli. In quel mentre la luce esplose in una pioggia di colori e il topolino urlò: «Ci vedo!». Una voce lo spronò: «Buttati!». Egli si fidò e si lanciò nel vuoto, per trovarsi a planare sopra le montagne. Rivide la lepre, la rana, il bisonte, il lupo. Più saliva, più il mondo sotto di lui univa come in un abbraccio il lago, la foresta, il torrente, la montagna, la prateria. Il topino si era trasformato in un’Aquila…


La parabola – raccolta tra gli Indiani d’America tra le Montagne Rocciose – esprime tutta la poesia della natura e la lieta convivenza tra le sue Creature.

Recita un canto indiano: «O Madre Terra, o Padre Cielo, i vostri figli sulle schiene stanche portano doni splendidi. Tessete in cambio per noi vesti di luce: la trama sia la luce bianca del mattino, l’ordito sia la luce rossa del tramonto, le frange siano di pioggia, e l’orlo d’arcobaleno, così che camminiamo ben vestiti là dove cantano gli uccelli e verde è il colore dell’erba. O Madre Terra, o Padre Cielo…».