Nell’imminente mese di agosto la nostra diocesi celebra una delle due giornate dedicate al Seminario: il 15 agosto festa dell’Assunzione di Maria.
L’istituzione del seminario, quale luogo in cui i giovani aspiranti al sacerdozio dovevano ricevere un’adeguata istruzione letteraria e spirituale, fu voluta e pretesa per ogni diocesi dal Concilio di Trento, quando era alle ultime battute, nel 1563. Assieme all’obbligo per i vescovi e per i parroci di risiedere tra i loro fedeli, “l’invenzione” del seminario fu la deliberazione più carica di conseguenze pastorali; essa portò lentamente ad un innalzamento della formazione culturale e spirituale del clero in cura d’anime.
Ma prima che ci fossero i seminari diocesani, per quali percorsi formativi un giovane giungeva all’ordinazione sacerdotale? Il III Concilio Lateranense (1179) stabilì che in ogni cattedrale si doveva garantire una rendita al fine di stipendiare un maestro che istruisse i futuri sacerdoti. Pochi decenni dopo il IV Concilio Lateranense (1215) ribadì tale disposizione e stabilì che in ogni sede metropolitana vi fosse un maestro di teologia. Di fatto queste disposizioni restarono largamente lettera morta, in Italia ancor più che in altre regioni d’Europa.
La preparazione della maggior parte dei futuri sacerdoti consisteva in un apprendistato presso un parroco. Questo avveniva soprattutto nelle zone rurali. Così come un loro coetaneo faceva il proprio praticantato presso un artigiano, cioè andava a bottega, molti aspiranti sacerdoti si preparavano al loro futuro stato di vita facendo tirocinio presso un sacerdote in cura d’anime. Il giovane imparava a leggere correttamente i libri liturgici e a celebrare i riti sacri. Si trattava certo di un metodo che garantiva un apprendimento pratico e calava i giovani nelle concrete situazioni che avrebbero incontrato nel loro futuro ministero, d’altro canto il sapere che veniva in tal modo trasmesso era assai limitato. Mi piace qui ricordare che nella prima metà del Cinquecento non pochi preti della Valsugana ricevettero la loro formazione coabitando col pievano di Strigno, Tomeo Boso, nativo del Tesino. Ma proprio questo prete nel 1559 fu sottoposto al più importante processo inquisitoriale svoltosi a Feltre in quel secolo, dal momento che nella sua biblioteca vi erano opere luterane. Questa circostanza fa riflettere sul fatto che questo genere di formazione andava esposto quindi anche a rischi non secondari.
Altri ragazzi, soprattutto coloro che abitavano nelle città, potevano beneficiare dell’insegnamento impartito nelle scuole pubbliche. In esse, dopo l’istruzione elementare, si poteva affrontare l’insegnamento della grammatica e della retorica: si studiava prima la grammatica latina e la lettura di alcuni autori latini, quindi si passava ad imparare a comporre discorsi in latino e ad apprendere delle nozioni elementari di diritto e filosofia.
La formazione universitaria era impegnativa in più sensi. Dal momento che l’ottenere i gradi accademici significava affrontare lunghi anni di studio con un dispendio significativo di denaro, un tale sforzo finanziario era in genere sostenuto solo da famiglie facoltose e con l’obiettivo che poi il figlio, divenuto sacerdote, accedesse ai benefici più remunerativi, quali erano i canonicati o gli episcopati, cosicché la famiglia avesse un ritorno, di immagine e finanziario, dell’investimento fatto. Il curricolo di studi che meglio apriva la strada all’episcopato era senza dubbio quello del diritto canonico.
Nel passato, con ricostruzioni storiche balorde, si è voluto vedere la situazione culturale del clero prima di Trento tutta buia e dopo Trento di una brillantezza splendente. L’incultura del clero dei secoli basso medievali è un luogo comune, nel quale è facile cadere se ci si affida agli attacchi sarcastici degli umanisti o alle polemiche dei Protestanti.
Mi posso limitare solo a dei rapidissimi esempi. Nella visita pastorale condotta a Ginevra nel 1410-11 i sacerdoti giudicati ignoranti costituiscono il 6%, mentre il 35% è giudicato sufficientemente istruito, un altro terzo è giudicato di solida cultura. Non mancano coloro che avevano studiato all’università e svolgevano il ministero anche in parrocchie rurali. Nelle diocesi di Quercy e di Digione risulta che circa il 15 % dei parroci aveva fatto studi universitari, nella diocesi di Berry i parroci con studi universitari erano addirittura il 30%. Percentuali uguali, cioè del 30% di preti con studi universitari, sono state rilevate per il Quattrocento anche in alcune diocesi tedesche.
In generale si può affermare che se il grado d’istruzione del clero, nel Quattrocento e primo Cinquecento, era spesso mediocre, i casi di ignoranza estrema erano rari e costituivano una modesta percentuale. Già nel Quattrocento il livello d’istruzione del clero in cura d’anime si andava elevando e d’altra parte vi erano ancora sacerdoti, se pur in porzione ridotta, che erano al di sotto della soglia minima di conoscenze per lo svolgimento del ministero.
Ma come nacque l’idea di istituire i seminari? Lo vedremo nella prossima puntata.
don Claudio Centa