Dopo l’esperienza estiva di Lisbona, vissuta nella sua straordinarietà anche da un gruppo della nostra Diocesi, la prossima ricorrenza della Giornata mondiale della gioventù, celebrata a livello diocesano nella solennità di Cristo Re, permette di mettere in luce alcuni aspetti che riguardano la questione dei giovani nella sua ordinarietà: un vero e proprio “fronte” in cui le comunità cristiane, per la loro assenza (sui banchi delle chiese), si sentono tanto esposte, quanto, per la loro stessa presenza (in altri contesti), deposte, fuori da ogni capacità di intercettarli. Niente di nuovo sotto il sole. Così accade ciò che sempre è successo: sul tema “giovani”, lo stereotipo, la precomprensione, la caricatura del problema o la sua stessa rimozione, diventano le vie primarie di una strategia non programmata che rischia di risolvere la questione su lati contrapposti (noi e loro), su un sentimento di sconfitta subita senza parola riflessa, priva di una traccia di pensiero che permetta di scorgere una nuova – e, perché no, possibile – via di futuro.
Tuttavia, ci troviamo ora di fronte a un contesto nuovo in cui tutta una visione del mondo è in fase di cambiamento. L’umanità intera è posta infatti allo snodo di un nuovo passaggio; si stagliano all’orizzonte scenari in mutazione, alle volte inquietanti; si pongono sfide che smuovono sicurezze statiche per processi dinamici ancora da comprendere bene. E in questo siamo tutti completamente immersi, sovente senza accorgercene. Allora giova, almeno in questa prossima giornata, provare a porre l’accento su un “sì”, sulla possibilità affermativa di pensare come davvero i giovani di oggi, e non di ieri, portino con sé un inedito che anche la Chiesa stessa non può non cogliere, proprio perché da questi giovani la sua stessa vita ne tragga linfa nuova. Soluzioni immediate o idee chiare e distinte, non sono certo così semplici. Ci basti spendere qualche riga per condividere alcune suggestioni che permettono di immaginare, con onesto realismo, come dai giovani e dagli adolescenti di oggi un nuovo volto di Chiesa possa palesarsi.
Siamo al termine di un anno liturgico che celebra la ricapitolazione in Cristo di tutte le cose; serve un rinnovato sguardo di speranza… “intelligente”, nel suo senso etimologico latino: capacità, cioè, di intus legere, “leggere dentro” la questione. Risultano illuminanti in questo senso le considerazioni che da varie domeniche appaiano sul quotidiano “Avvenire” a firma di Paola Bignardi, tracce di bilancio dalla lettura dei questionari analizzati nella recente ricerca promossa dall’Istituto Toniolo. Un lavoro ancora in fieri, composito ed estremamente interessante, che permette, dal punto di vista qualitativo, di cogliere moltissimi aspetti dell’universo “giovani”, sulla loro visione di Dio, sul mondo interiore, sulla concezione di Chiesa, sulla ricerca di figure autorevoli in cui si delinea un modo diverso – e proprio per questo forse disarmante – di concepire la spiritualità e l’appartenenza ecclesiale da parte di quelle generazioni, ancora fino a quale anno fa “sacramentalizzate” in massa nelle fila parrocchiali dell’Italia cattolica. Non possiamo sicuramente riassumere con esaustività quanto espresso lì e in altri contributi analoghi, ma scorrendo con attenzione quelle righe prende forma la consapevolezza di come una nuova rotta sia avviata.
Certo, alcune coordinate spiazzano non poco la navigazione ma, con sguardo attento e “intelligente”, si ha l’impressione di solcare acque ancora non esplorate, ma non per questo pericolose o foriere di naufragio. L’estrema sensibilità verso il diverso; la profondità di una ricerca interiore di sé che può non condurre necessariamente a cercare un Dio teologicamente definito; il desiderio appassionato di una comunità accogliente e semplice, senza pregiudizi o chiusure. Sono alcune delle piste profonde da continuare a scandagliare. A queste, di contro, si aggiungono la denunciata insufficienza di categorie culturali che ancora strutturano ogni apparato autoritario (ecclesiale, certo, ma non solo), l’incapacità di comprendere forme e linguaggi ormai lontani e muti. Questioni forti che, insieme alla consapevolezza di ereditare un pianeta ormai guastato da scelte di egoistico dominio, alla disillusione dal miraggio di un progresso illimitato, al dramma di dover scegliere in un contesto bulimico di possibilità, fanno di queste generazioni dei custodi di orizzonti fragili ma, allo stesso tempo, portatori di una novità che interpella…
Alla luce di questo, viene davvero da chiedersi: sono davvero i giovani un problema (che, in parte, abbiamo creato noi) o, forse, è il nostro modo di affrontarlo che crea problema, proprio perché non sa vedere oltre, con sguardo – oseremo dire – di profezia? Il profeta, si sa, è chi parla a nome di Dio senza sceglierlo e, alle volte, senza nemmeno saperlo. Pensare che i giovani, attraverso un modo nuovo di vivere quella che può essere chiamata esperienza di fede, attraverso le loro istanze e le loro fragilità, portino, senza saperlo, una chiamata di Dio a rinnovare la sua Chiesa, può dischiudere un’altra visuale. Forse questo può aiutare infatti le nostre comunità a cambiare il nostro sguardo e acquisire nuova consapevolezza. Pur nei mutamenti della storia, la chiamata della Chiesa rimane sempre quella: raccogliere con umiltà le “briciole di pane” sparse del Regno di Dio, e impastarle con «l’acqua della verità e l’olio della misericordia» (fratel Michael Davide). Artigianato della fede non semplice ma, certamente, appassionante. Che questa giornata sia vissuta, pur nella semplicità, come occasione di speranza “intelligente” che per le nostre comunità, che i giovani di oggi – le cui estreme fragilità affettive sono, in questi stessi giorni, agli onori delle cronache – sono chiamate ad ascoltare con sguardo e cuore carichi, nell’attesa di nuovi germogli.
Erredienne