A cura di don Renzo Roncada (5ª domenica di Pasqua - Anno B)

Rimanere in lui

Si tratta di comunione intima, di scambio vitale: «Senza di me non potete far nulla»

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Le letture che abbiamo appena ascoltato hanno un unico punto di riferimento: «Rimanere» in Gesù. San Giovanni evangelista, nella seconda lettura, ci offre una sintesi molto chiara: «Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui». Questa sintesi viene simboleggiata e fatta capire con la parabola della vite e dei tralci. Un’immagine che si trova molte volte già nell’Antico Testamento, per indicare il rapporto tra Dio e il suo popolo. Israele era la vite privilegiata di Dio.

Nelle parole di Gesù c’è un cambiamento radicale: Gesù è la vite. «Io sono la vite vera». Queste parole sono state pronunciate durante l’ultima cena e fanno parte del testamento di Gesù. I discepoli sono i tralci quindi fanno parte integrante della vite. «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto». Non è consentito andare a bussare ad altre porte per acquistare l’ultima meraviglia della moda o l’ultimo prodotto della tecnologia più avanzata. Solamente se siamo attaccati alla vite produrremo molto frutto ed è proprio questa l’esigenza di Dio: «In questo è glorificato il padre mio: che portiate molto frutto».

Che cosa vuol dire: «Rimanere in lui»?

C’è una grande insistenza in questa espressione, quindi non è una vicinanza approssimativa, un legame superficiale. Si tratta piuttosto di una comunione intima, di uno scambio vitale. Questo perché: «Senza di me non potete far nulla». Siamo di fronte a un’espressione radicale che, comunque la si rivolti, denuncia il fallimento di ogni sforzo umano sganciato dalla preghiera, dall’adorazione, dall’accettazione della sua Parola. Non è consentito appoggiarsi sulle proprie potenze o sulle potenze umane, ma solo su Dio.

Un altro punto che deve essere sottolineato è quello della potatura. È un discorso difficile da accettare. È una operazione dolorosa che non viene risparmiata a chi fa il proprio dovere. Precisamente chi porta già frutto viene sottoposto alla potatura perché possa dare ancora di più. Si deve interpretare, quindi, positivamente questa frase. La vita spirituale è sempre una crescita e quando si cresce i vestiti devono essere cambiati continuamente. È nell’esperienza di tutti che nel nostro cuore crescono frutto buoni assieme a cattiverie e orgogli. Questi ultimi devono essere continuamente tagliati, perché si ripresentano in continuazione proprio come i tralci inutili della vite. Qui possiamo capire le potature di Dio attraverso le croci che lui ci manda. In primavera sulla vite si lasciano solo due o tre rametti, tutto il resto viene tagliato. Solo così la vite può portare frutto abbondante e buono.

Ma quali sono i frutti buoni? Il linguaggio che san Giovanni usa non consente troppe interpretazioni. La vigna del Signore produce essenzialmente carità. È stata voluta, piantata, coltivata per questo. La caratteristica di questa carità ci viene precisata nella seconda lettura: «Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità». Sappiamo che nel vocabolario dell’evangelista san Giovanni la verità è Cristo stesso. Per di più, insiste san Giovanni, Dio è più grande del nostro cuore, e perciò ama anche coloro che sono fuori dalle nostre idee, dai nostri gusti, dalle nostre simpatie.

Sapremo noi amare con i fatti e nella verità?