Ritualità condivisa nella Liturgia della Parola

Note celebrative per il ministero liturgico e per l’assemblea

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La liturgia della Parola nella celebrazion eucaristica – sulla quale mi sono soffermato in precedenti articoli, invitando i partecipanti ad essere protagonisti e a coglierne la struttura per una maggiore comprensione a livello teologico e come fonte di spiritualità – è ancora alla nostra attenzione. Si tratta di richiamare alcuni aspetti della ritualità, che ne accompagna lo svolgimento fino al passaggio alla liturgia eucaristica.

Ritualità condivisa

Il modo di celebrare questa parte della Messa è indicato nelle rubriche del Messale Romano ed è vissuto tenendo conto di alcuni aspetti che connotano la solennità del rito. Questo non è assolutamente lasciato all’interpretazione libera della fantasia celebrativa di alcuni protagonisti. È da notare come una ritualità condivisa nel suo modo di svilupparsi, rende più facile alle persone provenienti da altre assemblee di sentirsi in piena sintonia con il rito che si sta vivendo, cogliendo una modalità sentita, anche in ambiente diverso, come familiare. La struttura della chiesa e del suo luogo della proclamazione della parola, l’originalità come persona del prete che presiede il rito, l’individualità dei ministri che servono alla celebrazione (diaconi, lettori o cantori), danno una caratterizzazione propria a ogni Messa, ma i momenti della ritualità e la dinamica che la guidano sono sempre gli stessi. Non ci può essere spazio per interpretazioni e variazioni individuali: la fedeltà ad alcuni aspetti celebrativi è dovere di tutti i protagonisti.

Annotazioni liturgico celebrative

Il passaggio alla Liturgia della Parola dopo i riti di introduzione va sottolineato anche da uno stacco temporale. Qualche istante di silenzio dopo la risposta «Amen» alla preghiera colletta, mentre il lettore (o i lettori) si avvicinano all’ambone è più che opportuno. Del resto è da far presente che il movimento delle persone, mentre il celebrante sta pregando a nome di tutti, non è rispettoso né della preghiera, né di coloro che vi stanno partecipando. I lettori possono lasciare il loro posto conclusa la preghiera, eliminando la preoccupazione di essere in ritardo. Questo dà la possibilità all’assemblea di mettersi in ascolto, senza che il momento del sedersi sia accompagnato dalla voce del lettore che sembra aver fretta di iniziare. Un breve tempo di attesa non è né ritardo, né vuoto celebrativo. È opportuna sottolineatura dell’inizio di una nuova parte del rito della Messa.

Il valore del libro liturgico della Parola, cioè il lezionario, è dato dalla sua collocazione nel luogo della proclamazione e dal suo uso nel rito. Graficamente anche un foglietto stampato o ciclostilato può servire alla lettura, ma la dignità della Parola e il valore rituale, quasi sacramentale, del libro liturgico ne suggeriscono l’utilizzo esclusivo (salvo emergenze…). La preoccupazione dei ministri della Parola (lettori, diaconi e preti) di trovare le pagine esatte per la proclamazione della Parola non trova risposta nella lettura dal foglietto simile a quello in mano ai fedeli, ma da una visione del lezionario previa all’inizio della Messa. La preoccupazione di farsi comprendere suggerisce, quando sia presente, di sistemare il microfono in posizione corretta rispetto alla voce di chi legge. Non è tempo perso, ma corretto servizio all’assemblea.

La posizione delle mani di chi legge, può essere quella di appoggiarle sul leggio o sul libro. Altre posizioni non sembrano opportune, neppure, forse, le mani tenute giunte, espressione di preghiera e non di proclamazione.

La conclusione di ogni brano è suggellata dall’espressione «Parola di Dio» o «Parola del Signore». L’assemblea coglie anche il valore di richiamo e di sottolineatura dell’espressione e acclama con la sua risposta: «Rendiamo grazie a Dio» oppure, dopo il Vangelo, «Lode a te, o Cristo». Queste conclusioni, codificate e ribadite dalla nuova edizione del Messale, rendono ingiustificate altre espressioni che talora sono usate per una sottolineatura non necessaria e, comunque, arbitraria. L’omelia, come spiegazione della Parola, è prassi comune nelle domeniche e nei giorni festivi. Il Messale per i giorni feriali la indica come “raccomandata”.

Lo stesso Messale suggerisce che dopo il Vangelo e l’omelia «è opportuno fare un momento di silenzio». Il silenzio in questo contesto non è vuoto o pausa, ma gesto rituale dove chi ha proclamato e chi ha ascoltato si ferma per una prima meditazione personale, un’assimilazione dei messaggi di fede e di spiritualità che sono stati dono per tutti i presenti. Nel rito liturgico il silenzio proposto, quando non nasce da incertezza o improvvisazione celebrativa, è parte fondamentale della ritualità. La preoccupazione per togliere presunti vuoti o, peggio, per guadagnare tempo, non si addice a un rito solenne. Non si parla di lungaggini inutili, ma di una solennità che anche nel ritmo trova la sua manifestazione, senza orologi o preoccupazione di record temporali.

Stile celebrativo che rende identitario il rito comune

Le indicazioni sopra riportate sono una parte delle sottolineature e dei richiami che si possono fare in relazione alla Liturgia della Parola. Per il ministero del lettore, del diacono e dello stesso prete che presiede vengono, in contesti opportuni, date altre indicazioni. L’obiettivo è quello di creare nelle diverse e originali assemblee liturgiche una modalità condivisa e riconosciuta, nella quale riconoscersi per esprimere in pienezza, non nella costrizione, ma nella comunione celebrativa, la stessa fede e la stessa identità cristiana.

Giuliano Follin