A cura di don Sandro De Gasperi (27ª domenica del tempo ordinario - anno C)

«Signore, aumenta la nostra fede!»

Gli apostoli, con una domanda bellissima, chiedono a Gesù di aggiungere fede alla fede

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«Violenza!», urla il profeta Abacuc, rivolto al Signore, osservando la realtà che lo circonda: iniquità, oppressione, liti e contese. «Violenza!» è il grido che anche noi, spesso, facciamo nostro, riconoscendo che la nostra umanità viene violata, impoverita, non riconosciuta nella sua dignità e nella sua preziosità. A questo grido, all’impossibilità di tacere, al rumore crescente che la violenza – e la guerra, e i dissidi anche interni alle nostre comunità e alla Chiesa – produce, la risposta accennata dalle parole che Dio rivolge al suo profeta è la fede.

Gli Apostoli, con una domanda semplice e bellissima, chiedono a Gesù di aumentare loro la fede, propriamente di aggiungerne. Un dono da ravvivare, suggerisce Paolo all’amico Timoteo, un dono che è vivo solo se viene comunicato, trasmesso, annunciato: «Non vergognarti di dare testimonianza al Signore risorto!». È il compito della Chiesa, che ha aperto proprio ieri il mese dedicato alla riflessione e alla preghiera sulla missione: instancabile, la Chiesa vive solo quando annuncia la presenza dell’amore di Dio nel mondo, il suo agire, il suo promuovere e benedire la vita dell’uomo e della donna di ogni tempo.

E quando si stanca, quando le forze cominciano a mancare, quando le sicurezze vengono meno, quando mutano i contesti storici, sociali, culturali in cui la Chiesa opera, fa sua la preghiera degli apostoli: «Signore, aumenta la nostra fede!». Una fede che è paragonata ad un seme, che non è già nella pienezza del suo sviluppo, ma che richiede tempo, pazienza, attenzione e cura per crescere e portare frutto. Una fede capace di entrare nel groviglio delle situazioni umane (tante volte, ancora più intricate delle radici fittissime del gelso, che non spesso non viene sradicato neppure dalle tempeste più forti). Una fede dinamica, che si muove, che si interroga e si nutre della presenza sempre fedele del Signore, che abbiamo invocato nel Salmo come roccia, come fonte della vita, come nostro pastore e guida.

La parabola ci ricorda che siamo nella condizione di servi: non è uno sminuire la nostra importanza, la nostra dignità o il nostro lavoro, ma un riconoscimento della nostra dipendenza da Dio, del dono che siamo per noi stessi e per gli altri, del fatto che non siamo padroni della vita, ma che ci viene richiesto di farla crescere, di accudirla, di accompagnarla.

Quanto è liberante il servizio gratuito, che non calcola, capace di operare con passione e creatività senza centellinare! Quanto ci spoglia dei nostri idoli, delle nostre schiavitù, dei nostri desideri di possesso, di controllo, del nostro tentativo di dominare la vita, di assoggettarla, di tenerla nelle nostre mani! Siamo servi inutili, ci ricorda Gesù: non perché non serviamo a niente e neppure perché il nostro posto possa essere preso da altri, ma semplicemente perché viviamo della gratuità di Dio, della consapevolezza lieta che tutto è un dono suo, perché sappiamo che la fede ci porta non a un premio ulteriore, che ci divide dalle altre persone, ma alla pienezza della nostra umanità, alla maturità, all’uomo perfetto in Cristo (come dice Paolo, nella lettera agli Efesini). Pienezza di umanità sono l’uomo e la donna che risponde al sogno di Dio: l’uomo e la donna che vivono in comunione, in armonia, in accordo. Pienezza di umanità è la fine di quella violenza che Amos continua a vedere anche oggi.