Durante la visita ai territori segnati dall'alluvione

Sorprendente è come ha vissuto la gente

Un dialogo tra il Vescovo e il corrispondente del "Corriere delle Alpi"

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ROCCA PIETORE. “Indescrivibili” le distruzioni. E “sorprendente” il comportamento responsabile di chi ha patito le conseguenze dell’”uragano”. La gente di montagna va ascoltata. Ed è ‘senza pudore’ chi parla di castigo di Dio. Così il vescovo di Belluno Feltre, mons. Renato Marangoni, che ieri ha compiuto le prime visite alle comunità, cominciando dall’alto Agordino.

Dove è stato, don Renato, e chi ha incontrato?

Sto visitando a tappeto tutte le comunità più colpite. Sto completando la vallata dell’Agordino, in particolare sto seguendo il corso del Cordevole. Sono oggi salito a Rocca Pietore, Sottoguda, Livinallongo, Colle Santa Lucia, Selva di Cadore, Alleghe. Domani [7 novembre] mi aspettano la Val di Zoldo e il Comelico.

Quali sono le sue impressioni? Si immaginava un tanto?

Proprio in questi territori mi sono reso conto l’indescrivibilità di quanto la pioggia torrenziale, l’acqua dei torrenti, il vento scatenato abbiano potuto fare. L’impressione è quella di un uragano.

Che differenza c’è con l’apocalisse? La caparbietà, la tenacia della gente e dei preti a risorgere?

Sorprendente per me è come ha vissuto la gente. Non ci sono state imprudenze che avrebbero prodotto forse più vittime. La prima cosa che colpisce è proprio che si è evitata una strage: il territorio è devastato, ma ci si è salvati. Il ricordo va alle tre vittime. Mi pare sia funzionata l’azione preventiva e poi soprattutto il coraggio di gestire ciò che stava accadendo. Quella sera io ero a Borgo Piave (Belluno): lì era il sindaco a coordinare con collaboratori e protezione civile e volontari il momento dell’onda di piena. Ho avuto la sensazione che realmente gestissero e tenessero sotto controllo ciò che stava capitando, a partire dalla Prefettura fino a alle varie Amministrazioni locali.

La natura può essere ‘perdonata’? E i comportamenti dell’uomo?

L’altra cosa straordinaria è la dignità di tutta questa gente di montagna. Conosce la montagna e la interpreta. Sa che dobbiamo averne più cura e che occorre “rapportarsi” ad essa rispettandola e non depredandola e neppure lasciandola incustodita. Per questo ha proceduto alla prima emergenza. Le comunità si sono date da fare da subito. Non hanno preteso, ma hanno operato consapevoli di quali fossero le prime urgenze da affrontare. Nel mio viaggio non ho incontrato persone arrabbiate, ma persone che si sono date da fare, anche certo sollecitando ciò che mancava. Un silenzio operoso e di solidarietà ha mosso la popolazione. I volontari hanno dato il meglio di sé. I Vigili del fuoco non ne parliamo: erano già stati messi alla prova con l’incendio nell’Agordino. Mi sono stupito oggi di fronte a che cosa hanno spostato in questi giorni dalla rete stradale per renderla percorribile: detriti, tronchi di albero, massi…

Qual è la più saggia forma di solidarietà? Sicuramente gli aiuti ma anche la condivisione di un futuro sostenibile?

Ora il naturale sviluppo di quanto avvenuto in questi giorni sarà il nostro futuro. Negli orientamenti pastorali della Diocesi avevamo maturato con il Consiglio pastorale questa sfida da vivere: “Alzare lo sguardo”. Io ci spero tanto che sarà uno sguardo alzato quello che cercheremo di attivare oltre questi giorni. La popolazione in questa impossibile calamità ha retto, è rimasta dignitosamente in piedi e ha operato insieme. Confido che continueremo ad “alzare lo sguardo”.

Le Dolomiti sono un tempio di Dio. Che, con gli alberi, ha perso forse milioni di colonne. Come le possiamo sostituire?

Ho sentito stamane un dato: 15 milioni di alberi atterrati sul nostro territorio. Non so che succederà, ma confido che ridoneremo ciò che l’ambiente naturale chiede. Non sarà uguale. Certamente impareremo qualcosa di ulteriore che promuoverà questo territorio e soprattutto migliorerà il nostro rapporto con esso. Ci saranno momenti in cui, in tutta verità, occorrerà riconoscere tutto quello che non va a livello di responsabilità verso la montagna. Ma occorre davvero ascoltare e dare il massimo di credibilità alla gente di montagna da parte di chi ha responsabilità in grande nel nostro Paese, a livello di Stato e di Regione. Il mio è anche un appello di civiltà!

Lei ha indetto per San Martino una giornata di solidarietà, ma probabilmente sarà anche una giornata di ringraziamento. Lei ha ammesso il suo stupore per l’abnegazione, anzi la coralità di questa abnegazione….

La Chiesa di Belluno Feltre vivrà una giornata di solidarietà, il giorno di uno dei suoi patroni – San Martino. Non dovrà essere giorno di commenti inopportuni o di chiacchiere, ma di ascolto, di discernimento comunitario, di preghiera, di assunzione di responsabilità, di vicendevole riconoscimento, di “amore responsabile” per la montagna, di fraternità “sociale” quella che scaturisce dal gesto di San Martino. I parroci sono stati vicini alla loro gente: li ringrazio. Hanno mostrato lo stile del ministero, di ciò che sempre più siamo chiamati ad essere ordinariamente.

Poi aggiungo una mia nota personale: non mi piace chiacchierare su Dio in circostanze come questa. Avere la tentazione di decidere ciò che lui pensa e avrebbe fatto è davvero improprio. Dio è il Padre di Gesù Cristo e in questi giorni ha fatto il Padre ed è stato come una madre, un fratello, un amico! Tutto ciò che si dice in più di Dio, per me è senza “pudore” e rischia di non essere evangelico…

Francesco Dal Mas