A cura di don Sandro De Gasperi (29ª domenica del tempo ordinario - anno C)

Troverà la fede sulla terra?

Il tempo, che ci separa dal ritorno di Gesù nella gloria, non è un tempo di ozio, di rassegnazione, di vuoto

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

“Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”, si dice talvolta con un proverbio: è un modo per sottolineare l’importanza di dettagli che spesso si rivelano determinanti per scoprire le bugie o per dirimere situazioni.

Anche nella Parola che abbiamo appena ascoltato, vi sono dettagli che ci aiutano ad accogliere la buona notizia che ci viene annunciata. La domanda che chiude il brano evangelico ci lascia inquieti: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Ci rimanda a quel giorno, stupendo e terribile, che Michelangelo ha dipinto nella Cappella Sistina, al giorno in cui il Cristo ritornerà, al tramonto del mondo e della storia: questa seconda venuta è la buona notizia che attraversa l’attesa e la speranza di tutti i cristiani, di tutti coloro che soffrono, sono oppressi, attendono una liberazione!

La Parola stimola, da parte nostra, un atteggiamento attivo, una presa di posizione: il tempo che viviamo e che ci separa dal ritorno di Gesù nella gloria, non è un tempo di ozio, di rassegnazione, di vuoto. È un tempo abitato dall’insistente denuncia dell’oppressione, della violenza, della prevaricazione, che si traduce in preghiera: modello di questo modo di abitare la storia è la vedova, che vediamo rivolgersi con insistenza tenace e simpatica al giudice, cieco e sordo di fronte a chi gli ricorda il compito di garante della giustizia.

Noi, uomini e donne di questo tempo – ma, in fondo, di ogni tempo – viviamo la situazione che abbiamo sentito descrivere dal libro dell’Esodo nella prima lettura: come il popolo di Israele, affrontiamo la nostra lotta quotidiana, a volte affidandoci alla volontà di Dio, altre volte attraversando la notte del buio e della fatica di credere. Come il popolo di Israele, ci ritroviamo a Refidim, nome che significa “mani cadenti”, cioè progressiva perdita di fiducia nel potere rigenerante e curativo della preghiera, che ci aiuta a scoprire la nostra identità di figli e di creature e a mettere al primo posto l’amore di Dio.

«Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»: Gesù non si sta riferendo a una crisi morale, ma alla necessità di coltivare il rapporto con Lui, il desiderio di Lui, l’attesa di Lui. La preghiera, se non è espressione di questa inquietudine sana, di questa nostalgia, di questa profonda mancanza, è un palliativo, un’illusione, recita di formule che ha sapore della magia. Gesù specifica che la fede che ricercherà al suo ritorno non è per aria, ma “per terra”, bassa, vicina alle situazioni e ai problemi concreti di ognuno di noi, alle prese con le sfide e le questioni che il nostro tempo pone al Vangelo.

La fede autentica è questione di dettagli, è questione di piccoli gesti quotidiani, è questione di come guardiamo al mondo, di come combattiamo le nostre battaglie, di come amiamo i nostri fratelli e le nostre sorelle. Mettiamoci nei panni di quella vedova – che, ricordiamo, al tempo di Gesù apparteneva a quella categoria di persone che non avevano diritti di nessun tipo e potevano confidare solo in Dio –: proviamo ad assumere la sua caparbietà, la sua insistenza, la sua perseveranza, non animate dalla rivendicazione, ma dall’umiltà. Entriamo nella sua preghiera, semplice ed efficace, e nella sua battaglia per la giustizia: e quando il Figlio dell’uomo verrà, forse troverà un briciolo di quella fede così sana, così robusta, così terra terra, anche in noi.