A cura di don Renzo Roncada (Solennità dell’Ascensione- Anno B)

Un po’ di autocritica

Gesù continua a essere con noi qui sulla terra e di conseguenza noi siamo con lui in cielo

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Nella solennità dell’Ascensione ci facciamo un po’ di autocritica. È una festa importante, ma sconosciuta. Una come tutte le altre? Purtroppo sì. Inosservata e non praticata dalla maggioranza di chi si professa cristiano, come tutte le domeniche dell’anno. È avvilente che qualcuno affermi che non hanno importanza la Chiesa, il Papa, i sacerdoti, perché la loro (pseudo) fede si arrangia direttamente con Cristo senza bisogno di intermediari. Magari! Magari fosse vero. Quest’affermazione non è altro che una scusa, per mascherare la grande ignoranza verso la religione. È come quelli che si credono grandi, perché urlano le loro bestemmie; facendo così urlano solo la loro ignoranza e il peggio è che non lo sanno… Prova ne siano le letture di oggi – che sono Parola di Dio – a cui questi moderni sapienti “devoti” si appellano. Se almeno le leggessero, capirebbero quanto incompetente è la loro presunta sapienza.

Ma veniamo a noi, che pur cristiani frequentanti, di religione capiamo poco. Tutte e tre le letture che abbiamo ascoltato ci parlano dell’ascensione: negli Atti degli Apostoli con san Pietro, nella lettera agli Efesini con san Paolo, nel Vangelo con san Marco. Chiediamo allora, oggi, al Signore un po’ di umiltà e di sapienza e fermiamo la nostra meditazione a una sola frase: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?».

Il fatto è raccontato da san Pietro, ormai capo della Chiesa. Una Chiesa che inizia la sua storia con qualche gaffe, accalappiandosi una specie di rimprovero: non bisogna star lì a guardare il cielo in cerca di qualche segno celeste, perché, se ci pensiamo bene, il cielo non esiste perché è dappertutto: «Padre nostro che sei nei cieli…». Come evitare allora questo rimprovero che gli angeli fanno agli apostoli? Sant’Agostino, nelle sue prediche, esortava a non salire in cielo solo con gli occhi, ma con le mani, con i piedi, con il cuore. Un’esortazione, quindi, a non lasciarci sfuggire Gesù, che con amore, continua a essere con noi qui sulla terra e, di conseguenza, è come se noi fossimo con lui in cielo.

Che ci dà la certezza di quest’unione che continua anche dopo l’ascensione è l’Eucaristia, la Com-unione anche materiale, concreta, che possiamo fare con Gesù e che ci dà la forza di rendere questo mondo un “cielo” che altrimenti sarebbe un inferno, non perché Gesù elimini le difficoltà, ma perché ci dà la forza di superarle con l’umiltà.

Non è forse l’esperienza di tutti – chiaramente non giusta, ma reale – che, quando le cose non vanno bene, ci umiliamo per chiedere al Signore qualche aiuto? San Pietro l’aveva capito e spiegato oltre duemila anni fa quando scriveva: «Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi esultando nella rivelazione della sua gloria». È proprio questo l’ascensione: credere senza vedere e perseverare nelle difficoltà con la certezza di un futuro migliore.

Attenzione però, alla finale del Vangelo: «Dopo che Gesù fu assunto in cielo essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano». Finché questo non avverrà, sarà difficile capire la festa dell’Ascensione.