A cura di don Vito De Vido (2ª domenica di Avvento - anno C)

Voi vedrete la salvezza di Dio

Non siamo noi a preparare la strada, ma è Lui che già si è aperto la strada verso di noi

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L’esperienza fondamentale del popolo d’Israele è la Pasqua. Il passaggio del Mar Rosso sottolinea un prima e un dopo. Prima c’è l’Egitto, con la dura schiavitù e la speranza che presto Dio possa intervenire e liberarlo. Dopo il lungo cammino verso la Terra Promessa, quella terra in cui scorrono latte e miele (Es 3,8).

Il popolo non lo sa, ma dovrà affrontare un cammino lungo quarant’anni nel deserto. Mosè sarà la guida che Dio ha scelto per salvarli dalla condizione servile. Egli diventa il salvatore. Mosè non è un santo, è scampato dalla morte, salvato dalle acque del Nilo dalla figlia del faraone. Cresciuto alla corte del re non ha conosciuto fatica e affanni. Quando decide di fare qualcosa di buono, per difendere uno schiavo maltrattato diventerà violento e omicida. Fugge nel deserto. Ed è lì che Dio lo chiama e lo rimanda indietro, alla corte del faraone per diventare il Messia liberatore. Conosciamo il finale: Dio piegherà la durezza del cuore del faraone con le dieci piaghe e finalmente il popolo può lasciarsi alle spalle la schiavitù.

Nel Mar Rosso, nel deserto non ci sono strade, è Dio che con la presenza della nube si fa guida e protettore per il suo popolo. Mosè riporta le parole che Dio dice al suo orecchio.

Anche noi sappiamo come sono importanti le nostre strade. A volte per unire un paese all’altro c’è un’unica strada, o se ci sono altre strade sono secondarie, sterrate, molto più lunghe e disagevoli. Se una delle nostre strade viene interrotta, un argine crolla, una tempesta fa cadere materiale ed alberi sulla strada, conosciamo benissimo i disagi che tutto questo comporta. Ci sono paesi e frazioni che da decenni desiderano una strada più larga, più comoda, con meno curve o meno ripida. Per chi abita lontano o non conosce i nostri posti, sono solo capricci o desideri irrealizzabili, o per i costi, o per il terreno che non permette grandi investimenti per poche persone.

Ecco la parola che ci ferisce: non si possono spendere così tanti soldi per così poche persone!

Davanti a questi proclami possiamo reagire in modi diversi. Qualcuno decide di andarsene. “Non possiamo continuare a vivere in questo modo”. Altri si ripetono: “Aspettiamo, vediamo se le cose si mettono a posto pian piano”. Altri cercano di fare tutto il possibile per risolvere il problema.

Nel nostro cammino di Avvento, la Parola di Dio è una promessa: “la strada la faremo dritta, le grandi salite saranno spianate, la strada allargata”. Questa è la via nuova che il Signore ci apre davanti. Ma verso dove? Dove siamo diretti? Vorremmo rispondere che siamo in cammino verso Dio. O almeno spiritualmente verso Betlemme, per andare ad inginocchiarci davanti al Bambino Gesù. Siamo noi che dobbiamo percorrere quella strada, noi che dobbiamo spianarla, raddrizzarla. Invece no. È l’inverso: è Dio che scende verso di noi. È Lui che da Eterno, invisibile, onnipotente si fa fragile bambino, visibile, debole.

È questa la strada che Dio ha scelto per arrivare vicino a noi, nel profondo del nostro cuore. Egli non viene a noi con mezzi potenti, non vuole convincere con la forza, ma con la debolezza. Non vuole piegare la nostra intelligenza con discorsi troppo alti, ma lo fa attraverso il vagito di un bambino appena nato. È quel pianto che ci fa non solo camminare, ma correre. È Lui che ha bisogno di noi, del nostro amore, della nostra bontà. Se percorrendo un bosco al buio di notte, durante una grande tempesta, tra il turbinio del vento, e lo sferzare della pioggia uno di noi sentisse in lontananza il pianto disperato di un bambino, anche se fosse senza fede in Dio non esiterebbe a percorrere la strada che lo separa da quel pianto! Sarebbe capace di aprire strade nuove, se quelle vecchie fossero scomparse o impraticabili!

Il cammino verso il Natale è questo: non siamo noi che prepariamo la strada al Signore, ma è Lui che già si è aperto la strada verso di noi. Quando lo riconosciamo nel pianto del bambino senza cibo, nell’occhio umido e spento di chi soffre, ma anche nel silenzio mesto di chi non sa più cosa chiedere alla vita dopo un grande dolore. Gesù è colui che ci fa rimettere in cammino verso l’altro, perché è nell’altro che Gesù ci viene incontro. Non nelle situazioni ideali, lì dove è facile amare, servire, aiutare. La strada impervia da rendere piana è andare incontro a chi non sempre ci sta simpatico. E vedere che poi la strada mano a mano che la percorriamo diventa meno faticosa. Oppure saper conservare il silenzio senza voler subito condannare, commentare, o dare consigli non richiesti. A volte non ci rendiamo neppure conto quanto bene faccia una nostra parola, una telefonata, un messaggio gentili. O saper ascoltare in silenzio le persone senza per forza dover dire a tutti i costi qualcosa! La salvezza che Dio ci ha preparato passa attraverso la luce degli occhi degli altri. Chiediamo a Dio di avere occhi limpidi per poter riconoscere dietro le armature e gli scudi che a volte innalziamo, la presenza di Gesù salvatore, e di saper a nostra volta abbattere quei muri che abbiamo costruito per non farci incontrare né da Dio, né dagli altri.