«Ero malato e mi avete visitato»

Commemorazione del beato Giovanni Paolo I per l’intitolazione dell’Ospedale di Agordo

 

Domenica 1° febbraio 1970. Mons. Albino Luciani – prossimo a congedarsi dalla sua prima diocesi, per passare a Venezia – venne insignito della cittadinanza onoraria di Vittorio Veneto. Il Consiglio comunale mise ai voti la deliberazione, ma – come accadeva in quegli anni ruggenti – i consiglieri di opposizione si smarcarono dalla maggioranza, uscendo dall’aula. Solo un consigliere di minoranza andò contro le indicazioni di partito e votò favorevolmente. Ricordava che, quando era ricoverato a Belluno, aveva ricevuto la visita del Vescovo, mentre i compagni di partito non avevano avuto la stessa attenzione. Circostanza annotata nel Diario del vescovo al 22 dicembre 1966: «visita tre sacerdoti e altre persone ammalate all’ospedale di Belluno». Si tramanda che fosse ricoverato nella stessa stanza in cui 33 anni prima era stato ricoverato “don Albino”.

Luciani ha sempre avuto una particolare attenzione verso gli ammalati, perché «imparò… da ciò che patì», come dice la Bibbia. Il lavoro di ricerca per la beatificazione ha imposto alla postulazione una minuziosa ricerca sulla storia sanitaria di Luciani, per sfatare i cliché sulla cagionevolezza della sua salute e smentire la letteratura noire a cui si dà importanza, facendo il gioco di chi lucra sul complottismo. Ci ha aiutati l’anamnesi che il medico dell’ospedale di Mestre nel 1975 aveva stilato al letto del Patriarca, ricoverato per una trombosi retinica manifestatasi durante il viaggio di ritorno dal Brasile. Vi si trova il percorso clinico di un uomo, che nell’infanzia qualche stento ha subito, che ha tirato la corda con gli impegni di lavoro, che ha avuto i suoi acciacchi.

Nel febbraio 1947, dopo aver conseguito il dottorato tra le privazioni del dopoguerra, don Albino tornò da Roma ammalato e fu ricoverato in sanatorio per sospetta tubercolosi. In realtà era una polmonite bilaterale. Durante quel lungo ricovero riprese in mano la Storia di un’anima di santa Teresa di Lisieux, che lo colpì, tanto da dedicarle una lettera finita tra gli Illustrissimi: «Cara piccola Teresa, avevo diciassette anni, quando lessi la vostra autobiografia […] Me ne ricordai, quando mi portarono ammalato al sanatorio, in anni in cui […] al degente si prospettava, più o meno vicina, la morte. Mi vergognai di provare un po’ di paura». Ricordando la fortezza con cui la giovane Teresa aveva affrontato la medesima prova, si disse: «Sei sacerdote, svegliati, non fare lo sciocco!». Ecco perché questo Luciani ebbe sempre attenzione per gli ammalati: «Imparò… da ciò che patì».

Inoltre nelle testimonianze del processo canonico è ricorrente questo ricordo: il vescovo Luciani visitava spesso gli ammalati e – nei casi di indigenza – lasciava con discrezione una busta sotto il cuscino o sotto la tovaglia. Perché? Il servizio sanitario nazionale era di là da venire. Oggi le cose sono cambiate: il diritto alle cure mediche è nell’art. 32 della Costituzione; la tempestiva accessibilità alle cure è un diritto, anche sulle strade di montagna. Per questo c’è un ospedale anche tra le montagne, in Agordino.

Oggi le istituzioni locali dedicano questo ospedale al beato Giovanni Paolo I. Probabilmente lui si schernirebbe, nel suo stile montanaro. Eppure l’intitolazione pare indovinata, perché lo commemora, evidenziando questa sua attenzione umana ed evangelica: «Ero malato e mi avete visitato». È significativo che non gli si dedichi un monumento, ma un ospedale. È significativo che sia l’ospedale di Agordo, perché proprio in questa cittadina don Albino visse l’unico periodo di cura d’anime, dal dicembre 1935 al luglio 1937. Da lì in poi divenne professore, monsignore, vicario generale, vescovo, patriarca, papa e ora beato.

È significativo che gli sia dedicato l’ospedale di questo comprensorio, perché i nostri paesi sono molto campanilisti, ma se c’è una cosa su cui ci troveremo d’accordo è la difesa del nostro ospedale. È significativo, perché Luciani non dimenticò mai le sue radici agordine. Nell’atrio del patriarchio di Venezia una lapide ricorda la successione dei patriarchi, di cui sono indicati il nome, l’origine e gli anni di episcopato. Chiesero a Luciani che cosa scrivere di lui: e siccome qualche riga sopra il card. Piazza aveva fatto incidere “Cadubriensis”, Luciani volle che fosse scritto “Augurdinus”.

Da ultimo, nell’udienza concessa ai bellunesi il 3 settembre 1978, disse: «Viva l’Agordino allora! Una terra povera, ma di buona gente; non perché io sono agordino, ma veramente gente onesta». E poi ricordava la testimonianza dei veneziani che facevano le ferie «a Caviola, a Falcade e mi dicevano: “Ma che buona gente avete su di là”. Dico: “Beh, sono contento che diciate così… quindi ringraziamo il Signore”».

E noi ringrazieremo il Beato agordino se di lassù avrà un occhio di riguardo per chi tra queste mura soffre cercando la guarigione; e anche per chi qui chiude gli occhi al mondo; e per chi tra queste mura lavora con dedizione: medici, infermieri, operatori, addetti, amministrativi… tutti. Per dirla con le stesse parole da lui usate 45 anni fa: «Viva l’Agordino».

don Davide Fiocco

Agordo
24-06-2023