Che vale la vita se non ha amore?

Omelia nella solennità di san Martino, patrono della città di Belluno e della diocesi
11-11-2022

Is 61,1-3a; Sal 88 (89); 1 Ts 2,2b-8; Mt 25,31-40

Siamo qui oggi perché ci affascina ciò che irrompe nella nostra vita e nella storia come promessa d’amore e come segno d’amore. È come il germogliare di un seme, come il venire alla luce di un figlio, come il sorgere del sole che trasfigura la notte in giorno. Vorremmo tutti percorrere quel tratto di vita dove si ama per amare e dove si può essere raggiunti e salvati da una mano amica che si protende a noi, da uno sguardo che ci avvolge di tenerezza. La vita anela ad essere quest’opera d’arte: un amore che espande bellezza. Siamo tutti sulle sue tracce e alla sua ricerca.

Che vale la vita se non ha amore? Ecco dove ci conduce il patrono San Martino: a sconfinare oltre la mediocrità del sopravvivere, oltre il grigiore delle sue indifferenze, oltre le meschinità delle nostre chiusure e paure, oltre l’insipienza del sopportare quell’avventurarsi insieme che è la vita che ci è donata. San Martino sorprende e scuote le nostre esitazioni, le nostre prese di distanza, il nostro sbarrarci in difesa, il fastidio del nuovo, le tinte fosche con cui disegniamo i tempi futuri.

Anche la ricerca di Dio è un’esperienza d’amore così: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». Ci scombina il Vangelo di oggi: anche il Figlio dell’uomo, che viene nella sua gloria, si avventura tra le maglie della nostra vicenda umana a raccogliere amore: «mi avete dato da mangiare… mi avete dato da bere… mi avete accolto… mi avete vestito… mi avete visitato… siete venuti a trovarmi…». Nel vangelo Gesù, figlio di Dio e figlio dell’umanità, viene dall’Amore promesso e vive per un amore che si dà.

Sto dicendo la verità più semplice e più luminosa che ci sia: l’amore – anche il più piccolo e invisibile – salva la vita, la guarisce, la rimette in piedi, la riveste di dignità, la apre alla gioia.

Alla nostra accorata domanda – si può vivere ancora e ovunque attivando segni d’amore? – San Martino con la sua vita e con i segni che ha posto ci induce a seguire la via dell’amore. Ci testimonia che sono innumerevoli le situazioni in cui riaccendere questa fiamma di luce e di fuoco. Lo dice e lo testimonia a noi che ci diciamo “cristiani” e che a volte lo ostentiamo come il nostro vanto. Viene suggerito come cammino possibile alla portata di tutti – sì anche ad ogni società umana e a tutte le generazioni sino alla fine e agli estremi confini della terra – per trasfigurare il decadimento del nostro vivere e rigenerarlo in storia salvata. Ed è dato come un seme, il più piccolo tra ciò che nasce nel mondo, ma che basta per stupire il nostro mondo, per affascinarlo, per attrarlo. Sulpicio nei suoi dialoghi, raccontando la vita di Martino, al presbitero Refrigerio ricorda una conversazione che avevano avuto con Romolo. Ecco la citazione: «E tu inoltre, presbitero Refrigerio, ricordi – credo – che poco tempo fa avemmo una conversazione su questo argomento con Romolo, figlio di quell’Auspicio, un uomo rispettato e devoto; egli ci riferiva queste cose, come se noi non le sapessimo; come tu stesso hai visto, mostrava timore per i futuri raccolti, a causa dei continui danni, e si rammaricava assai che Martino non fosse stato preservato per questi nostri tempi» (Sulpicio, Dialoghi III.7.1-5). Preservare Martino per questi nostri tempi, per il nostro territorio, per le nostre comunità, per la nostra Chiesa, per il nostro presbiterio è quella cura d’amore, spicciolo e grande insieme, quotidiano e straordinario allo stesso tempo, che è dato a tutti con la vita stessa come via e pratica possibile.

Non può non stupirci la dichiarazione di Paolo ai Tessalonicesi: «Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari».

C’è un aspetto che il coraggio e l’intraprendenza di San Martino sollecita in particolare a noi tutti, in questo affascinante territorio di montagna, per non continuare a rammaricarci di ciò che manca.

Ricorro ad una esperienza vissuta di recente da parecchi di noi, quando ci siamo fatti pellegrini verso Roma per accogliere il dono della beatificazione di Giovanni Paolo I. Partiti dalle nostre terre di montagna siamo riusciti ad adombrare Roma, la città della sede apostolica che venera come patroni Pietro e Paolo. È stato come aver disteso il mantello di san Martino, nostro patrono, e aver rivestito la loro fraternità dei due apostoli diventati romani.

Il conterraneo Albino Luciani con la sua disarmante e convinta umiltà ci ha fatto dono di poter camminare insieme, pellegrini verso la medesima meta. Sì, come un “miracolo”, un evento e un’esperienza che suscita meraviglia: un popolo che cammina insieme!

È il mio augurio ed è la passione che ci accomuna: un popolo ricco di mille particolarità e risorse che intende camminare insieme! È anche il sogno di Chiesa rinnovata che intendiamo rendere cammino possibile di condivisione e collaborazione.

 

Introduzione alla celebrazione

San Martino, nostro patrono, ci raccoglie oggi insieme in una promessa di fraternità che desideriamo tanto e a cui vorremmo con più coraggio dedicarci.

Il mio saluto e di tutta la Chiesa di Belluno Feltre va alla comunità civile, qui in particolare alla città di Belluno rappresentata anche dall’amministrazione comunale, a tutte le autorità (Prefetto, Sindaco, Questore, Comandanti delle forze di sicurezza…) e rappresentanze di istituzioni, associazioni e realtà sociali a cui sta a cuore il bene comune. Vi sono in particolare le comunità della convergenza foraniale di Agordo e Livinallongo, con i parroci e i sindaci.

In questa Eucaristia facciamo corpo insieme, ravvivati dal Vangelo. Compiamo, ora, anche un atto di consapevolezza del nostro sbagliare e del nostro peccato, per chiederne perdono.