Sto sul monte come Mosè a pregare

Omelia nelle esequie di don Mario Carlin - Cattedrale di Belluno
07-11-2022

Ef 4,1.8-19; Sal 111 (112); Lc 1,39-56

Giusto un mese fa – il 7 ottobre – ci siamo raccolti nella celebrazione eucaristia di esequie e di affidamento a Dio di un altro presbitero don Samuel Gallardo. Ci aveva colpito l’età: 64 anni. Oggi siamo qui a innalzare, in un offertorio sovraccarico di doni, ben 100 anni di vita, di cui 77 di ministero pastorale di don Mario. L’esistenza umana può diventare compiuta ad ogni età, in ogni momento.

Dopo che qui in Cattedrale, il 3 marzo scorso, avevamo ringraziato Dio per quel significativo compleanno – i 100 anni – ora siamo a scoprire che già in quel traguardo si preparava la compiutezza dell’opera. Don Mario in questi ultimi giorni aveva predisposto, con una certa impazienza, il suo rientro a casa, dopo essersi sottoposto alle cure ospedaliere. Nell’esile sua figura, così scarna e diafana, persisteva una velata forza, una determinazione di fedeltà, un dinamismo apostolico quasi “sovrumano”. A lui possiamo attribuire i sentimenti e le parole di Paolo: «So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,12-13). I motori dell’energia umana si erano già abbassati in don Mario. Spesso ripeteva di essere stanco. Ma lui perseverava. Era come un lieve e sottile fiamma che non si arrendeva allo spegnimento. In lui vi era traccia di un’altra forza di vita: «Tutto posso in colui che mi dà la forza».

Nel Giovedì Santo dello scorso anno 2021, in un intenso e commovente videomessaggio a tutto il nostro presbiterio, don Mario affabilmente – con la mano sinistra appoggiata al volto, in un gesto spontaneo di ricerca di sostegno – disse: «Ecco ora sono arrivato al traguardo dell’eternità e sto sul monte come Mosè a pregare, a sostenere con la mia preghiera la vostra fatica sacerdotale». Poi concludeva salutando così: «Un abbraccio a ognuno di voi e un grazie se volete farmi dono di una preghiera per me». Ed eccoci qui nell’abbraccio a don Mario da parte di noi tutti raccolti e uniti in questa Eucaristia, nella Cattedrale che era sua dimora, parte consistente del “monte” dove, come Mosè, sosteneva una schiera di persone con la sua preghiera e con la sua indole ferma e sicura, diventata materna affabilità – negli anni e per le tante esperienze vissute – con cui egli spargeva abbondantemente incoraggiamento, perdono sacramentale, accompagnamento spirituale. Come abbiamo ascoltato dall’apostolo Paolo che scrive alla comunità cristiana di Filippi: «Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi».

Nel videomessaggio già ricordato don Mario ricapitolava così alcuni passaggi significativi del suo ministero: «Ho servito la diocesi e nella diocesi il popolo santo di Dio per quarant’anni, facendo l’esperienza di ciò che più di tutto gratifica il sacerdote diocesano: l’essere parroco, avere una famiglia dove si sente padre, maestro, fratello, testimone, sull’esempio di Cristo buon pastore». Come attesta Paolo ai Filippesi, anche don Mario ha vissuto questo vicendevole appartenersi negli affetti spirituali e nel nome di Cristo.

Le molte stagioni di vita attraversate da don Mario permettono di fare memoria di quanto abbiamo ascoltato nel racconto dell’evangelista Luca: «In quei giorni Maria si alzò e andò in frette verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta». Mentre era ancora parroco don Mario venne nominato delegato diocesano per l’emigrazione. Ecco le sue parole: «Ho viaggiato un po’ ovunque, ho attraversato quasi tutta l’Europa, poi l’America, il Canada. Ho avuto molti incontri fraterni con i nostri emigrati. Da lì è nata anche la conosciuta associazione dei Bellunesi nel mondo». Come in Maria, la chiamata del Signore e lo stupore per la Grazia che sgorga sovrabbondante dal mistero d’amore di Dio, generano in lui la sollecitudine del cuore, la spinta a mettersi in cammino, ad avventurarsi in viaggio, per poi portare alla gioia dell’incontro. A rallegrare il cuore c’è l’annuncio del Signore che salva, da portare e donare ovunque. I molti gruppi e movimenti ecclesiali che hanno goduto dell’accompagnamento – paterno e “mariano” – e hanno assaporato la testimonianza fraterna di don Mario, insieme con noi tutti, con il presbiterio, con i confratelli del Capitolo della Cattedrale, con il vescovo Giuseppe, non possono se non cantare il Magnificat di Maria, in un affidamento di dedizione e consacrazione a Dio, lungamente ricercato da don Mario: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio , mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva».