Nell’udienza di mercoledì papa Francesco ha parlato di Charles de Foucauld: «Charles de Foucauld scrive: “Ho perso il mio cuore per Gesù di Nazareth”. Fratel Carlo ci ricorda così che il primo passo per evangelizzare è aver Gesù dentro il cuore, è “perdere la testa” per Lui. Se ciò non avviene, difficilmente riusciamo a mostrarlo con la vita. Rischiamo invece di parlare di noi stessi, del nostro gruppo di appartenenza, di una morale o, peggio ancora, di un insieme di regole, ma non di Gesù, del suo amore, della sua misericordia».
Comprendiamo che cosa vuole dirci papa Francesco. Dovremmo ammettere che a un certo punto del loro cammino i due discepoli di Emmaus hanno perso la testa per Gesù che si presentò loro come risuscitato.
Mi ha colpito quanto hanno scritto Serena, Pietro e Augusto nel loro viaggio in Benin. Colpiti da un’espressione ricorrente nelle giornate vissute lì: «Tutto è grazia». Mi è sembrato che intendessero dire che il nostro cuore arde quando ci si scopre graziati, sorprendentemente amati, stupiti dallo scoprire attorno a noi i segni dell’amore.
Questa sera possiamo dirci che il cuore vuoto o il cuore freddo non ci permette di vivere bene, di metterci in cammino, di uscire da noi stessi; di scoprire la vita, le persone, le loro storie e, dunque, l’ambiente, la natura… Il racconto di Luca usa un’altra espressione che ha lo stesso significato: «Si fermarono col volto triste». È proprio così: se sei triste ti fermi, ti blocchi e rischi di pensare che non esiste più nessuno, che non centra più con te. Lungo il cammino verso Emmaus è come se i due discepoli si fossero fermati: impossibile per loro riconoscere quel compagno di viaggio che li affiancava. È un deficit di grazia! E il cuore si sente vuoto e freddo.
Martina e Omar hanno raccontato di Carlos un autista, dunque uno che sa viaggiare. Scrivono: «Non ci conoscevamo e l’incertezza nello spagnolo non ci spingeva a interagire liberamente, ma Carlos ha saputo coinvolgerci in un dialogo profondo, fatto innanzitutto di conoscenza reciproca, conoscenza di vita e di culture diverse che si incontrano e dialogano tra esse. Ha portato la sua vita, fatta di fatiche e sofferenze, a dei perfetti sconosciuti, indicando la forza della fede nonostante tutto». Mi sembra davvero bello: “Carlos ha portato la sua vita”. Ecco quanto è decisivo perché il cuore arda: portare la propria vita.
Nel racconto di Emmaus il compagno sconosciuto che cammina con i due discepoli sta portando la sua vita: «”Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui».
È il momento che trasforma il cuore. Poco dopo i due ammetteranno: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Da questa trasformazione ad opera dell’amore nasce la vita, nascono le amicizie, le storie d’amore, la passione per gli altri, il desiderio di darsi… insomma “si parte”. Ecco: “piedi in cammino”, come questa veglia di ritorno di stasera ci fa ripartire, rimetterci in cammino: i due discepoli «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto!”». È come ammettere: «Tutto è grazia!».
Come non chiederci ora: ma con chi sto camminando in questo tempo, con i miei pensieri e sentimenti, con il mio corpo, con i miei impegni e i miei intrighi, con i miei desideri? Sto portando con me la mia vita in tutto questo? Lascio che l’altro, gli altri, le situazioni in cui mi imbatto riscaldino il mio cuore?
Questa è missione qui, oggi, ovunque, sempre… fino a ripartire…
È interessante il racconto di Matteo che vede scorrere un arcobaleno di occhi colorati nel suo viaggio in Ecuador: «In tutti i loro occhi erano racchiuse storie, emozioni, ricchezza, povertà, valori e umanità… Quegli occhi mi hanno fatto cambiare prospettiva riguardo alle mie priorità; mi hanno dato di capire che aiutare gli altri è una delle strade che mi portano a essere felice; mi hanno fatto vedere quanto la semplicità sia estremamente complessa da raggiungere; mi hanno insegnato quanto fare del bene ti possa circondare di benessere; mi hanno spiegato che l’amore esiste e che la fede lo accompagna a braccetto. In quegli occhi e in quegli sguardi ho visto e incontrato Dio durante il cammino di missione».
Dei due discepoli a Emmaus, l’evangelista dice: «Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista». E Ilaria, Valentina e Tommaso ci confidano: «Noi nella nostra esperienza missionaria in Ecuador abbiamo trovato più di una persona che poteva raffigurare Gesù».
Così anche Camilla, Elena e Giulia attestano della loro esperienza in Etiopia: «È stato proprio l’incontro con l’altro ad averci donato tanta energia e senso di pienezza. A posteriori ci siamo resi conto che tutta la ricchezza provata era da associare alla figura di Dio, che incarnatosi nelle persone incontrate lungo il nostro cammino, si faceva strada anche nelle nostre vite». Addirittura questo succede in partenza di ogni cammino: «Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro».
Dunque: Cuori ardenti, piedi in cammino!
Mi piace chiudere con questa conclusione di Elena, Ilaria e Tatiana in riferimento al loro viaggio in Madagascar: «E tutt’ora, alla fine di questa esperienza [il Signore] ci sta accompagnando nel fare il più possibile anche se siamo dall’altra parte del mondo per cercare di garantirgli un futuro migliore».
Bello, entusiasmante: garantire un futuro migliore anche al Signore!