Il contributo dell’AC per una Chiesa fraterna e sinodale, nell’oggi del nostro tempo

Intervento del Vescovo all’Incontro unitario dell’Azione Cattolica di Belluno-Feltre
07-10-2023

 

1. La gioia di un discepolato mite e umile di cuore

“Discepolato” indica che la vicenda cristiana avviene lungo la strada al seguito di colui che è riconosciuto capofila, maestro, animatore. Non è un “campo di battaglia” la vita cristiana, neppure una cattedra di potere o di insegnamento. Non è un privilegio da esibire o da rivendicare. Il verbo della vita cristiana è “seguire”. Si sta dietro a Gesù e si impara ogni giorno a stare sui suoi passi. Ricordiamo il fatto in cui Pietro tralascia di stare in seconda posizione rispetto a Lui. In Mt 16,23: «Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”». Significa che Pietro aveva scavalcato Gesù e aveva usato la sua parola profetica e scomoda per i propri fini che non erano il pensiero e il cuore di Dio (vv. 21 e 22): «Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”».

All’inizio del Vangelo di Marco (1,17), la prima chiamata dei discepoli è espressa proprio così: «Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”».

“Stare sulla strada” è una condizione esistenziale, comporta uno stile di vita, indica anche il modo con cui condividere: si cammina insieme, aspettandosi, senza perdersi, facendosi carico delle fatiche altrui, partecipandosi sentimenti, emozioni, sogni…

L’altra parola decisiva è “gioia”. Questa componente è abbinata al Vangelo: Evangelii gaudium (la gioia del Vangelo). Se la gioia è così difficile da diventare impossibile, se non traspare dalle interiorità, se si fa lontana dalla quotidianità delle giornate… è da fermarsi e chiedersi veramente se siamo ancora sui passi di Gesù. Occorre che tra di noi, in verità, ci chiediamo vicendevolmente: ma il Vangelo ti apporta gioia? Ti apre a essa? Te la fa cercare e chiedere umilmente?

Infine è decisivo giungere – spogliati di tante cose che potremmo definire “i miei/nostri interessi” – dinanzi alla chiamata di Gesù, manifestata dalle sue stesse parole che meglio di ogni altra descrizione la comunicano: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”» (Mt 11,28-30).

Mi pare, oggi, decisivo proprio questo essere “mite e umile di cuore”. Gesù si è definito così in rapporto a noi. Su questa sua autorivelazione egli tratteggia anche il nostro rapporto con Lui: imparare a essere miti e umili di cuore. Così oggi il nostro discepolato deve essere rigenerato!

 

2. La laicità dell’esperienza di fede

Siamo in coerenza con quanto già evidenziato. “Sulla strada” – diciamo pure – della vita si diventa discepoli di Gesù. Mi attira molto e la trovo tra le scelte fondamentali della vicenda dell’Azione cattolica. Il discepolo di Gesù non è altrove rispetto alla concretezza spoglia della vita. Nello stare dietro a Gesù non ci deve essere nessuna finta. “Umili di cuore” comporta la sincerità, l’autenticità di ciò che stai vivendo. La vita cristiana non è un apparato, una sovrastruttura, un manto che copre la verità del corpo. Laicità è tutto ciò che la vita comporta con tutte le sue componenti e in tutte le sue manifestazioni. Oggi non è scontato manifestare la “verità della vita”, quando questa è se stessa. La vita ha le sue potenzialità ma anche le sue inadeguatezze. Essa conosce e attraversa l’imponderabile e inspiegabile dolore. È fragile eppure capace di generare. Laicità è tutta quanta la vita, anche quella che un contesto socio-culturale come anche quello che ci caratterizza può rimuovere o denigrare. Laicità è una grande sfida per i discepoli di Gesù, miti e umili di cuore. Teniamo in debito conto che la vita resta un dono che non si possiede mai come una “proprietà privata”. La vita donata è un intreccio di vite non scioglibile. Per l’Azione Cattolica mi pare che laicità significhi stare in tutta la vita, percorre in verità umiltà e mitezza questa strada. Occorre tenere questo colore della vita all’esperienza della fede. La fede di cui viviamo è esperienza di vita. Voi qualificate così l’esperienza ecclesiale della fede.

 

3. Il simbolo amorevole della Chiesa

Questa duplice espressione – fatta di un nome e di un aggettivo – esprime quello che per tutti noi è e fa la Chiesa. La parola “simbolo” ha un’accezione che si rifà a ciò che il Concilio Vaticano II ha descritto della Chiesa: «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). Il simbolo è dato da parti che si ricompongono che si ricercano che si richiamano a vicenda. Comporta reciprocità. Sembra dire che la verità di tutto e nel suo essere con altro, nell’insieme. La Chiesa è così. Se fosse una parte che si assolutizza e che pretende di essere il tutto, non è più la Chiesa-sacramento, la Chiesa-simbolo… Proprio questo rappresenta chi siamo. La Chiesa non può che essere la concretezza del nostro stare sulla strada della vita, dietro a Gesù, gli uni destinati all’incontro con gli altri, gli uni affidati agli altri. È, dunque, anche un mondo che si riconcilia. Così “Chiesa” è anche una responsabilità, una missione, un servizio, un essere gli uni per gli altri. Proprio per questo le si addice l’aggettivo “amorevole”. Secondo la parola di Gesù che resta l’apripista della Chiesa, essa non può che praticare l’amore. L’amorevolezza la connota. La Chiesa è simbolo amorevole. La parabola del Samaritano narra proprio questo “simbolo amorevole”: tutti e due lo costituiscono, il samaritano e colui che è “caduto nelle mani dei briganti, derubato e lasciato mezzo morto”, entrambi che percorrendo la strada giungono all’albergo e di nuovo fanno Chiesa coinvolgendo l’albergatore. È una storia fatta di quel passarsi accanto che fa maturare compassione, che porta a fasciare e ungere le ferite, a farsi carico dell’altro… Simbolo amorevole!

L’AC si scopre chiamata ad essere Chiesa così. L’AC, anzi, ama una Chiesa così: simbolo amorevole.

 

4. L’inedito Cammino sinodale

Vorrei soffermarmi su questa qualifica – inedito – che attribuisco al “cammino sinodale” che stiamo condividendo in modo particolare noi Chiese d’Italia, ma in comunione con tutta la Chiesa. Perché è inedito? Perché lo Spirito Santo non è monotono e ripetitivo. Lo Spirito “soffia dove vuole” dice Gesù, che in questo modo qualifica anche la sua stessa missione. Inedito, poi, è anche il Vangelo. Quello che in questo tempo la Chiesa sta vivendo nell’Assemblea sinodale in corso a Roma non è qualcosa già avvenuto. Non si tratta di un pezzo vecchio, cioè già capitato, messo come rattoppo nel contesto nuovo di oggi. Ciò che sta vivendo la Chiesa è inedito come è inedito lo Spirito Santo che la anima e la conduce. L’Ac non può non essere convinta di questo. Comporta che non abbiamo soluzioni già confezionate da applicare, che non abbiamo metodologie già sperimentate che in esclusiva dobbiamo imporre ad essere adottate oggi, che non abbiamo percorsi sempiterni da perseguire… Occorre oggi docilità all’inedito dello Spirito e di questo cammino sinodale. All’AC viene spontaneo abbandonare acquisizioni avvenute in altri tempi per incentivare l’inedito di questo cammino sinodale, accoglierlo, affidarsi ad esso, servirlo, vivendolo e cercando in esso il proprio – per così dire – “nuovo statuto”. Chiamare “sinodale” la Chiesa, l’AC lo comprende, lo vuole, lo pratica perché è ciò che motiva l’AC, è la sua ragione di testimonianza e di servizio. Vi leggo alcuni passaggi che traggo dall’Instrumentum Laboris di questa prima sessione del Sinodo. Quello che viene qui affermato vi appartiene per quanto avete maturato in tutta la vostra storia: «Una Chiesa sinodale si fonda sul riconoscimento della dignità comune derivante dal Battesimo» per cui da «fratelli e sorelle in Cristo, abitati dall’unico Spirito» si è «inviati a compiere una comune missione» (n. 20). Poco più avanti si afferma che «una Chiesa sinodale è aperta, accogliente e abbraccia tutti». Ne segue che «non c’è confine che questo movimento dello Spirito non senta di dover oltrepassare, per attirare tutti nel suo dinamismo. La radicalità del cristianesimo non è appannaggio di alcune vocazioni specifiche […]. La chiamata radicale è quindi quella di costruire insieme, sinodalmente, una Chiesa attraente e concreta: una Chiesa in uscita, in cui tutti si sentano accolti» (n. 26).

L’AC cerca questa radicalità del cristianesimo: costruire tutti – senza predominio di vocazioni specifiche – in nome del Vangelo, «una Chiesa in uscita, in cui tutti si sentano accolti».

 

5. L’Azione cattolica nella nostra Chiesa locale

I quattro passaggi finora attraversati delineano un servizio di testimonianza e di partecipazione attiva in pastorale a cui L’AC è senz’altro chiamata a concretizzare. La forma associata che vi caratterizza non costituisce un’alternativa agli organismi pastorali, non deve poi diventare concorrenza con altre forme di aggregazione ecclesiale. La forma associata si combina immediatamente con quanto poco fa delineato. Non ci sono posizioni pastorali particolari da pretendere o da attendere come privilegio. Mettete in gioco nelle comunità parrocchiali – chiamate alla sinodalità, intesa innanzitutto come “fraternità tra comunità” – il potenziale che la dinamica associativa forma e alimenta. Ci sono due fronti che immagino si apriranno per un impegno generoso e più intenso: quello della testimonianza “sulla strada della vita”, quello della formazione (in stile sinodale e alla sinodalità) e quello della ministerialità.

La consegna che vi faccio è quella di tener vivo lo spirito e le indicazioni della Carta d’Intenti, sostenendo appassionatamente, la transizione pastorale che stiamo vivendo.