Eccoci in quella stanza e in quella cena pasquale

Omelia nella Solennità del Corpo e del Sangue di Cristo - Cattedrale di Belluno
02-06-2024

Es 24,3-8; Sal 115 (116); Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26

 «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo». Il racconto dell’Esodo, ascoltato come prima lettura, non può non sconcertarci. Nella medesima descrizione poco più avanti è detto che «Mosè prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo» che corrispose così: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Quanta storia è passata dagli eventi a cui si riferisce l’Esodo: siamo attorno al 1250 a. Cr.!

Venne sancita un’alleanza tra il Dio di Mosè e quanti come Mosè si trovavano in una forma di schiavitù in Egitto. Il loro sogno era di raggiungere la cosiddetta “Terra promessa”, territorio che ancor oggi è rivendicato da popolazioni che vantano culture e tradizioni diverse. Si tratta di luoghi destinati a tenere viva questa alleanza, ma tremendamente lacerati da sempre, rivendicati come un possesso degli uni contro gli altri.

C’è un secondo annuncio che ci sorprende. La lettera agli Ebrei, che sullo sfondo evoca gli eventi dell’Esodo, considera la vicenda di Gesù come una svolta decisiva: «Egli entrò una volta per sempre nel santuario […] ottenendo così una redenzione eterna». E spiega: «Egli è mediatore di un’alleanza nuova […] essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza». Dunque solo con Cristo è possibile ricevere «l’eredità eterna che era stata promessa».

È davvero importante che cogliamo il senso di questa interpretazione della storia incentrata sulla vicenda di Gesù. Il racconto dell’evangelista Marco ci dischiude un significato enorme che sta nel cuore della nostra fede. Ne è protagonista Gesù che, mentre si avvicina alla sua passione, prende in mano, in tutta libertà, la sua vita e la pone di fronte a una storia lacerata, fatta di disobbedienze, di alleanze infrante, di tradimenti, di “opere di morte” come dice la lettera agli Ebrei. Gli stessi discepoli che ha voluto con sé sono in un baratro. Poco dopo l’evangelista dirà che uno di loro lo tradirà, che Pietro lo rinnegherà. Poi dei discepoli che erano con Gesù dirà: «Tutti lo abbandonarono e fuggirono».

Si coglie in questo baratro, il ribaltamento inaspettato che sta per succedere e che Gesù anticipa desiderando e preparando una cena rituale legata alla prima alleanza. Gesù stesso consegna in alcune parole dette «a due dei suoi discepoli» il segno di questo ribaltamento: «Il Maestro dice: “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”».

Ed eccoci in quella stanza e in quella cena pasquale: c’è anche del pane e c’è un calice con del vino. Gesù prende il pane dice la benedizione, lo spezza e lo dà ai discepoli: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prende il calice, rende grazie lo dà a loro. L’evangelista precisa che «ne bevvero tutti». E Gesù osa annunciare: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per tutti». L’evangelista ci avverte che, dopo questo, Gesù con i discepoli uscì verso il monte degli ulivi.

Ecco quando in Gesù, nella sua libera e consapevole scelta di figlio amato da Dio e di primogenito di tutta l’umanità, è cambiata questa storia a cui anche noi apparteniamo. Qui non ci sono miracoli su cui fantasticare, orpelli da aggiungere, storielle da inventare. C’è un po’ di pane e un calice di vino che raccontano e rappresentano che tutto ormai è profondamente trasfigurato, che tutto è fermentato dalla Pasqua di Gesù, che la logica di tradimenti e di alleanze infrante è stata vinta in Lui, che la creazione stessa diventa la stanza arredata da Lui, aspersa e purificata dal suo sangue per una Pasqua di eternità, in vista del Regno di Dio a cui tutto è votato e consacrato, a partire dai nostri frammenti di pane e dai nostri sorsi di vino.