Lasciamoci attrarre dalla speranza

Omelia nella solennità dei santi Vittore e Corona – Feltre
14-05-2024

Ap 7,9-17; Sal 23(24); Rm 5,1-5; Gv 15,18-21

Domenica abbiamo celebrato l’Ascensione del Signore che l’evangelista Luca – autore del III vangelo e degli Atti degli Apostoli – colloca dopo 40 giorni dalla risurrezione di Gesù. Si tratta di un tempo piuttosto lungo che ha un significato pregnante nella Bibbia. Gesù, all’inizio della sua missione, trascorse 40 giorni nel deserto «guidato dallo Spirito» e fu tentato dal diavolo (Lc 4,1-2). È il tempo dove la nostra vita si confronta con Dio, lo cerca, lo attende. È il tempo in cui Dio si misura con le nostre lentezze, i nostri dubbi, le nostre fragilità. È il suo graduale avvicinarsi a noi, con l’attenzione e la cura a formarci perché diventiamo capaci di entrare in rapporto con Lui. È il tempo in cui la vita può cambiare e Dio fa esperienza della nostra umanità. Anche Dio è impegnato a conoscerci: i 40 giorni sono affidati allo Spirito, presidiati da Lui. Lo si invoca. Ci si predispone a fargli posto accanto a noi. E Gesù è a desiderare, ad attendere, a favorire tutto questo per i suoi discepoli. Gli preme che ciò avvenga e che noi abbiamo la pazienza di saper attendere il compiersi della sua promessa, lasciandoci raggiungere dal dono che arreca: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Luca, continuando la narrazione degli Atti degli Apostoli, descrive che Gesù «detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9). Ecco dove anche noi discepoli del Signore possiamo collocarci oggi: tra il sottrarsi del Risorto ai nostri occhi e il “ricevere forza dallo Spirito Santo” che ci fa testimoni del Risorto ovunque.

La celebrazione dei Santi patroni Vittore e Corona si colloca in questo particolare contesto liturgico e ci permette di riconoscere in loro il frutto di quel tempo, in cui il Risorto non ha abbandonato i suoi, ma li ha pazientemente sostenuti affinché lo Spirito li rendesse testimoni del Risorto. Il loro martirio è la sorprendente azione dello Spirito che, come aveva enunciato Gesù: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità […]. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16,13-14). Sono le parole di Gesù a svelarci il mistero del martirio dei nostri patroni. Le abbiamo ascoltate poco fa: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato» (Gv 15,20-21).

Nella lettera ai Romani, Paolo ci ha consegnato la sua testimonianza, per cui lui, «a causa del nome di Gesù» è andato ovunque per annunciarlo: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).

Ora guardiamo a noi, raggiunti dalla testimonianza di Vittore e Corona. Ma come stiamo vivendo oggi da discepoli di Gesù? Per quale testimonianza “in suo nome” lo Spirito Santo ci è donato? È tipico del tempo di questi nostri santi – siamo alla fine del secondo secolo – il contesto di guerra e di persecuzione. Vittore sarebbe stato un soldato romano – probabilmente nativo dalla Siria – e Corona la giovane moglie di un suo commilitone. Il loro martirio giunge a noi come il grido di un’umanità ferita e lacerata da ciò che può nascere da ogni forma di guerra, da quella più banale e piccola che ingaggiamo tra noi per rivalità, per gelosia, per odio, per intolleranze di ogni tipo, a quella impressionante che giorno dopo giorno provoca stragi di bambini, di giovani, di famiglie, di popolazione, e che vediamo purtroppo in tante parti di questa tormentata terra. Come discepoli del Risorto, sulla scia di Vittore e Corona, oggi non possiamo non smettere di contrastare ogni logica di potere malsano che crea diffidenza e divisione, che invoca e chiede rivendicazioni dei propri confini per prendere le distanze e diffidare dei nostri simili, che, invece, in Cristo siamo chiamati a riconoscere fratelli e sorelle. Dico ciò che può capitare anche tra noi, nei nostri territori, tra nascosti conflitti che ingaggiamo tra gruppi diversi, tra categorie di persone schierate le une contro le altre, addirittura nel sospetto tra comunità che sono chiamate a collaborare. Non si tratta solo di violenze esplicite. Spesso questo avviene a partire da noi stessi nei sentimenti che nutriamo, negli atteggiamenti di diffidenza che assumiamo, nei giudizi che emettiamo e nelle parole che diciamo. E, poi quanta negatività di parole inutili e di frasi insensate, di giudizi affrettati, di notizie false immesse nei social e che imprudentemente ci permettiamo di far circolare.

C’è tutta questa nostra quotidianità che deve lasciarsi cambiare e raggiungere dallo Spirito del Risorto per diventare testimoni oggi e ovunque. Il 9 maggio papa Francesco ha indetto l’Anno Santo che si terrà dal 24 dicembre prossimo al 6 gennaio 2026. Il Papa l’ha voluto perché ci facciamo “pellegrini di speranza” in un mondo confuso dove troppi vivono sfiduciati e sconfitti. Vi riporto la parte finale della bolla di indizione. È su questa scia che anche i Santi Patroni Vittore e Corona ci sollecitano: «Il prossimo Giubileo, dunque, sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore. Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa».