Essere con Gesù Cristo

Omelia nelle esequie di don Gino dal Borgo - Cattedrale di Belluno
24-11-2023

2Tim 2,1-3. 5-12a; Sal 17(16); Lc 18,35-43

È davvero commovente la domanda di Gesù posta al cieco di Gerico: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». L’evangelista Luca dice che Gesù gli domandò questo quando gli fu vicino. Lunedì scorso, quando don Gino concluse la sua parabola di vita terrena, questo Vangelo lo accompagnava e lo sosteneva. In quelle ultime ore immaginiamo che Gesù fosse chino su di lui non tanto per emettere parole di giudizio quanto, invece, per dedicarsi totalmente a lui, per fare qualcosa per lui: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». A Timoteo – chiamato “figlio mio” – Paolo rivela una «parola degna di fede»: «Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo».

Questo “essere con Gesù Cristo” rappresenta tutta la vicenda umana e presbiterale di don Gino, che non ha mai smesso di sentirsi consacrato e mandato dal Signore. Infaticabile e inarrestabile nella sua missione pastorale, don Gino ha toccato il cuore di tante e tante persone. Innanzitutto dei bambini a cui era dedito con tenerezza di padre e di affabile nonno. Nella scuola dell’infanzia s’inteneriva e, in mezzo ai bambini, si riconosceva figlio come loro. Quante volte don Gino ci ha parlato dei suoi genitori – di papà e mamma – manifestando il suo affetto filiale che non è mai venuto meno. Don Gino, poi, ha toccato il cuore di tanti ragazzi nell’ambiente della scuola e di tante coppie incamminate al matrimonio. La dedizione con cui li accompagnava rivela un tratto originale della sua umanità, capace di farsi prossima e premurosa specialmente nei vissuti familiari. Don Gino si appassionava in ciò che faceva.

A Timoteo, l’apostolo Paolo, propone degli esempi di vita che evocano anche lo stile e l’opera di don Gino: «Come un buon soldato di Gesù Cristo, soffri insieme con me. Anche l’atleta non riceve il premio se non ha lottato secondo le regole. Il contadino, che lavora duramente, dev’essere il primo a raccogliere i frutti della terra». Particolarmente questo richiamo al contadino che lavora si addice a don Gino. Nelle parole di congedo del suo testamento, egli si descrive così: «Ho solo cercato di essere un semplice contadino nel Campo del Signore come d’altronde mi hanno sempre insegnato a fare i miei genitori».

La parabola dei talenti raccontata da Gesù e proclamata nel Vangelo di domenica scorsa, ci offre un pensiero incoraggiante e ci consola nel mentre siamo qui con il fratello Angelo e i familiari e con voi, fedeli delle comunità che don Gino ha amato e servito: siamo qui per celebrare, nella Pasqua di Gesù, il frutto maturo della vita di don Gino: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque».

Voi “suoi parrocchiani” conoscete questa parabola che don Gino ha raccontato con la sua fedeltà a voi. Nell’ultima stagione, quando la sua salute veniva ulteriormente segnata da dolore e debolezza, con il suo affetto sempre più si protendeva verso la “sua parrocchia” e si riferiva a Cusighe. Non si pensava se non in essa ancora nel pieno dell’esercizio del suo ministero, sino alla fine. Anzi anzi con il desiderio si lanciava oltre attendendo di aiutare don Graziano in tutte tre le comunità.

Ovunque e sempre – sembra testimoniarci don Gino – occorre annunciare il Vangelo. Egli non pensava e non prevedeva ostacoli in questa azione pastorale. Anche negli ultimi giorni don Gino perseverò così. Similmente a quanto dichiarato da Paolo, anche per don Gino «la parola di Dio non è incatenata».

Si rinnovano ancora oggi le parole dell’Apostolo: «Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna».

È davvero motivo di gioia profonda e di gratitudine grande che nella Chiesa siano possibili questi legami di affetto, di amore, di vicendevole aiuto, di fraternità. È il frutto più bello che ora raccogliamo dalla vita di don Gino per presentarlo al Signore.