Ml 3,1-4; Sal 23 (24); Eb 2,14-18; Lc 2,22-40
Eccoci qui anche noi pellegrini, lungo il cammino che 40 giorni dopo la sua nascita, Gesù – portato da Maria e Giuseppe – ha aperto davanti a noi.
Come non pensare, cari fratelli e sorelle, che quel pellegrinaggio ci riguarda? Il nostro venire a questo mondo lo portava dentro di noi come una promessa, una chiamata, un sogno, una visione, un futuro. È il pellegrinaggio in cui, con stupore, ma anche con un senso di vertigine, si scopre che la vita è un essere collocati in una strada che altri hanno percorso prima di noi e sulla quale si riconosce la compagnia di tanti altri. Oggi li chiamiamo, in nome di Cristo, fratelli e sorelle, «poiché – come è stato detto nella lettera agli Ebrei – i figli hanno in comune il sangue e la carne». E si premura l’autore della lettera a ricordarci che «anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe».
Gesù è stato portato da Maria e Giuseppe a Gerusalemme per un incontro decisivo. Anche tutti noi abbiamo iniziato quel pellegrinare portati dai nostri genitori, dalle nostre famiglie. Quel primo viaggio è stato profetico e decisivo. La loro scelta e la loro fatica di immetterci sulla strada della vita e di farci crescere è la promessa degli inizi, è quella vocazione per cui nessuno di noi viene da sé stesso, da sé stessa.
Oggi non possiamo non tornare a questi inizi, non tanto per regredire, per rimpiangere o per lamentarci, quanto per sciogliere la nostra vita consacrata in un canto di trepidante libertà e di commossa gratitudine. Come dice Simeone, è ora un “andare in pace”.
Simeone oggi ci sollecita e ci fa scoprire come intendere una “vita consacrata”. Essa giunge a Gerusalemme e riparte da lì, la città dell’incontro con Dio. Ed ecco come la rappresenta: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, o Signore, preparata da te davanti a tutti i popoli».
Fratelli e sorelle, come Simeone, “avete accolto il Signore Gesù tra le vostre braccia e avete benedetto Dio”: avete visto la sua salvezza. Oggi, nella vostra quotidianità, con le vostre fragilità, attraverso gesti di paziente amore fraterno, voi la testimoniate e annunciate che essa è preparata per ogni uomo, per ogni donna, «davanti a tutti i popoli». La vita consacrata si alimenta di questo sogno di salvezza per tutti. Secondo lo sguardo aperto di Simeone, essa non è rinchiusa dentro le mura delle vostre case, non si misura con l’esiguità delle vocazioni, non si riduce alla preoccupata gestione dei vostri Istituti, neppure è rinnegata dalle meschinità in cui s’inceppa la vita. È, invece, lo stupito sguardo di fede che intravede il dono della salvezza, irrefrenabile, senza misura fino agli eccessi dell’amore, «preparata davanti a tutti i popoli».
La “vita consacrata” è quel “di più gratuito” di misericordia paziente e di tenero amore che è, sì, tra le vostre braccia, ma le trascende in un abbraccio universale «davanti a tutti i popoli», “luce con cui Dio illumina le genti”. È liberare la nostra storia nello sguardo profetico di Simeone che scorge la salvezza predisposta ovunque.
Carissimi, è da brivido scoprire che portiamo dentro di noi questo sguardo infinito di Dio, noi che riusciamo a vedere bene solo fino a qualche decina di metri davanti a noi.
Vi rileggo le parole dette da papa Francesco ieri ai religiosi e religiose che partecipavano all’Eucaristia in San Pietro: «Saper vedere la grazia è il punto di partenza. Guardare indietro, rileggere la propria storia e vedervi il dono fedele di Dio: non solo nei grandi momenti della vita, ma anche nelle fragilità, nelle debolezze, nelle miserie. Il tentatore, il diavolo insiste proprio sulle nostre miserie, sulle nostre mani vuote: “In tanti anni non sei migliorato, non hai realizzato quel che potevi, non ti han lasciato fare quello per cui eri portato, non sei stato sempre fedele, non sei capace…” e così via. Ognuno di noi conosce bene questa storia, queste parole».
Sono una guarigione del cuore ferito e spossato le immagini con cui la lettera agli Ebrei ci rassicura su come Gesù accompagna il nostro pellegrinaggio: ci libera dalle schiavitù della vita; si prende cura di noi facendosi simile ai fratelli; viene in aiuto a quelli che subiscono la prova.
La vita consacrata è questa impossibilità umana che diventa sorprendente possibilità di Dio, «preparata davanti a tutti i popoli».