Gesù entri nello spazio della nostra vita

Omelia nella Domenica di Risurrezione – Concattedrale di Feltre
31-03-2024

At 10,34a.37-43; Sl 117(118); Col 3,1-4; Gv 20,1-9 o Mt 28,1-10

Stiamo vivendo questi giorni guidati e sostenuti dalla Parola che fin dagli inizi ha raccolto la comunità dei discepoli e delle discepole del Signore. In particolare stamane siamo lì in quel circolo di amici che il Vangelo appena proclamato ha descritto: Maria di Magdala «corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava». C’è tra di loro un comunicarsi ciò che vivono. Condividono i loro cammini, accettando la diversità di ciascuno: «Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo […] ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva». Gesù era stato capace di creare amicizia tra di loro. Potremmo dire che era Lui il motivo del loro stare insieme. Dopo i momenti drammatici della passione e della crocifissione e morte di Gesù, pur in una sorta di legami spezzati con Lui, perseverano ancora nello stare insieme seppure nel buio della loro adesione a Gesù. C’è una nota dell’evangelista che ci avverte: «Non avevano ancora compreso la Scrittura».

Anche noi stamattina potremmo chiederci perché siamo qui. Siamo ancora i discepoli e le discepole di Gesù? La domanda significa quanto abbiamo ascoltato da Pietro alcuni giorni dopo i fatti descritti nel racconto evangelico: «E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme».

Qui tra noi ci stiamo dicendo qualcosa che ci ha toccato il cuore già, che ci ha fatti incontrare ancora. Un qualcosa che è diventato una tradizione e forse una consuetudine? Il motivo per cui siamo qui sembra che tutti lo sappiano, eppure oggi abbiamo l’impressione che ciò non faccia più notizia…

Paolo ci ha detto: «La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria». La notizia circolata tra noi fin dall’inizio è che «la pietra era stata tolta dal sepolcro», ma il corpo di Gesù, da poco deposto lì, non c’era. I racconti evangeli sembrano annunciare che Gesù è risorto a puntate, dimessamente, con circospezione.

Noi ora possiamo chiediamo che cosa voglia dire che Gesù è risorto. In che cosa consiste la sua risurrezione? Ebbene non la possiamo descrivere, analizzare, rappresentare. Siamo semplicemente messi dinnanzi al suo annuncio. L’antica Omelia letta nella preghiera del mattino di ieri, sabato santo, annunciava che il Dio fatto carne è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi: «Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita». Il Figlio di Dio fatto uomo nella sua morte scende a liberare la pecora smarrita – il primo padre, Adamo – e quindi libera l’umanità perduta nella morte e oscurata da essa e dal peccato.

Ecco la risurrezione di Gesù! Noi possiamo nella fede aprire all’infinito la nostra vita esposta sul buio della morte e cantare: è vivo, ci ha salvati, ci ha redenti, ci ha liberati, ci ha illuminati! Non sappiamo altro. La risurrezione non è semplicemente un’espressione della vitalità del suo pensiero o il suo ricordo che teniamo vivo; non è neppure il risveglio di un cadavere. Insomma «Non dobbiamo cercare Gesù dove lo colloca la storia profana, in una galleria di grandi defunti, di fondatori di religioni o maestri di morale del passato» (Tomàs Halìk). Gesù risorto non torna indietro, ma punta in avanti: «È risorto, non è qui» (Mc 16,6). È iniziato un cammino nuovo. Su questa strada Maria di Màgdala, nel proseguo del racconto evangelico di oggi, è invitata da Gesù stesso – che le si presenta dinnanzi e la chiama per nome – a coinvolgere gli altri discepoli. E «Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto» (Gv 20,18). L’evangelista Marco riferisce che nel sepolcro vuoto entrarono Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome. Ad esse da un giovane che indossava un aveste bianca è consegnato questo messaggio: «Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».

Certamente Gesù “si è alzato”, è cioè risorto ed è vivo innanzitutto nello spazio di fede della sua Chiesa: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). In Gv 14,19 aveva detto: «Io vivo e voi vivrete». Dunque «La ‘vita in pienezza’ non inizia dopo la nostra morte. Inizia quando lasciamo che Gesù entri nello spazio della nostra vita attraverso la porta della fede» (Tomàs Halìk).

In questo nostro tempo, anche a motivo dell’esperienza sinodale che stiamo vivendo, scopriamo che la Galilea che Gesù ci ha fissato come condizione per riconoscerlo vivo è l’incontro con tutti i cercatori di verità e amore, di giustizia e pace, di bontà e bellezza, in tutti i luoghi di questo mondo, fra tutte le genti, con tutti i credenti: qui il Risorto ci precede per mostrarsi e donarsi, qui ci chiede di portare la novità di Lui Risorto.

Concludo con queste parole di un prete teologo che ha vissuto il dramma della chiesa clandestina nell’Est Europa, nel periodo della dittatura: «Non possiamo ridurre il mistero della Risurrezione a un singolo evento che si è verificato e concluso molto tempo fa. Credo che, oltre alla ‘creatio continua’, possiamo parlare di ‘resurrectio continua’. La vittoria di Gesù sulla morte prosegue nella storia della Chiesa e nella storia dell’umanità, scorre in essa come un fiume sommerso, che affiora in superficie nelle riforme che ridanno vita alla Chiesa, ma anche nelle storie di conversione delle singole persone» (Tomàs Halìk).