At 10,34a.37-43; Sl 117(118) ; Col 3,1-4; Lc 24,13-35
Se entriamo nei racconti dei quattro evangelisti a riguardo di quel “primo giorno della settimana” – o “il giorno dopo il sabato” – che noi oggi celebriamo, ci imbattiamo con delle circostanze incalzanti in cui i discepoli e le discepole di Gesù appaiono attraversati da sentimenti contrastanti. Non solo, mentre si va svolgendo questo primo giorno i discepoli non possono non ripercorrere tutti i momenti e le vicende del loro incontro con Gesù e della sequela di lui.
Nella veglia pasquale l’evangelista Matteo ci ha fatto incontrare due discepole di Gesù, Maria di Màgdala e l’altra Maria. Vorrei ricordare ciò che segna in loro l’aprirsi all’incontro con il Risorto. Matteo descrive, raccogliendo immagini dell’antico testamento, un «angelo del Signore sceso dal cielo» che rotola la pietra della tomba per porsi sopra di essa. Il contesto è di spavento: le guardie sono scosse e rimangono tramortite. Invece con delicatezza l’angelo rivolto alle donne dice: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto». E aggiunge: «Presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risorto dai morti, ed ecco vi precede in Galilea». Dopo essere state incoraggiate a non aver paura, le donne corrono dai discepoli ed è in quella corsa che il Risorto va loro incontro dicendo loro: «Salute a voi!». Le due si avvicinano gli abbracciano i piedi e lo adorano, gesti pieni di affetto e di dedizione a lui. Ed egli le rassicura nella loro corsa dicendo: «Non temete; andate ad annunciare…». Colpisce questo invito a superare le paure e a mettersi sui passi dell’annuncio. Per loro è l’incontro con il Risorto!
Stamattina la Liturgia ha proclamato il racconto dell’evangelista Giovanni. Ci ha fatto conoscere Maria di Màgdala nel suo intento di non perdere il Maestro, il Guaritore, l’Amico che l’aveva aiutata e liberata da mille pesi e legami. Mediante lei, due discepoli, Simon Pietro e quell’altro così definito: «quello che Gesù amava», si mettono in cammino per recarsi al sepolcro. L’evangelista ci lascia una nota amara: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20,9). Anche questa fatica e questa non-comprensione sono sulla strada della ricerca del Risorto. Viene da chiederci: e noi comprendiamo la Scrittura che cioè Gesù doveva risorgere dai morti? Non possiamo smettere di cercarlo, occorre rimetterci in cammino e lasciarci coinvolgere dall’esperienza degli altri discepoli e discepole.
Questa sera la Liturgia ci fa camminare con i due discepoli che vanno a Emmaus, dovremmo dire che “se ne tornano a casa” come se tutto fosse svanito. Ma non nascondiamocelo: quante delusioni anche tra noi nei riguardi del Risorto! Abbiamo conosciuto – tra l’altro – tanti che se ne sono andati. Forse noi stessi non abbiamo nutrito affetto e cura verso di loro, annebbiando la vicinanza del Risorto. Sembra che il cuore freddo e i discorsi troppo ragionati impediscano di lasciarci sfiorare e avvicinare dal Risorto. Tornare alle Scritture e rivisitarle; sentirci dentro un cammino di attesa, di liberazione, di speranza; restare nella condivisione, invocare insieme – «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» – prendere e spezzare insieme il pane… sono tratti essenziali per permettere che il Risorto accompagni il nostro camminare, il nostro vivere, il nostro cercare, il nostro costruire insieme, il nostro ricominciare.
È vero. Di mezzo c’è la grande questione del nostro morire. L’apostolo Paolo definisce la morte “l’ultimo nemico da vincere”. L’annuncio della risurrezione di Gesù è per togliere questo imperioso tarlo che ci tormenta. È a riguardo che ci dobbiamo aiutare a cercare il Risorto, a fargli breccia, a lasciare che ci avvicini e ci accompagni.
Vi lascio un pensiero di un autore, accanto ai racconti evangelici evocati, perché possa riscaldare il cuore e liberare il cammino del nostro vivere, anzi del nostro vivere insieme:
«È bellissimo ripercorrere nei Vangeli il succedersi delle manifestazioni del Risorto: questo sbucare del Signore da tutte le parti. Vicino a chi piange e ti chiama per nome. Vicino a chi cammina e prende il tuo passo. Vicino a chi dubita e conforta la fede. Vicino a chi cerca e dà significato all’ultima attesa del cuore. Vicino a chi ha paura e dice: non abbiate paura. Vicino a chi è stanco e prepara pesce arrostito sulle sabbie estasiate del litorale. Questo Signore che ormai sbuca da tutte le parti: ora è nel giardino, ora è sulla strada di Emmaus, ora è in un cenacolo, ora è lungo la riva del lago, ora è sulla cima del monte. È risorto e dunque è ancora più “dentro” la storia di ciascuno di noi. Se non fosse risorto, saremmo noi qui oggi?» (Angelo Casati, I giorni della tenerezza, Romena 2019).