Mt 28,1-10
Chi è stato iniziato alla celebrazione della Veglia pasquale e l’ha sperimentata sa che lasciarsi ancora coinvolgere in essa suscita un senso profondo di attesa. Quando si attende si è particolarmente protesi e, dunque, in movimento verso chi verrà o ciò che dovrà accadere. È davvero importante e decisivo questo protendersi, questo tendere e uscire verso ciò che attendiamo.
Fin dai primi riti di questa veglia – particolarmente con l’accensione del cero pasquale – ci siamo messi in cammino verso Cristo. Ma da subito abbiamo cambiato posizione: ci siamo messi al suo seguito, sui suoi passi. Abbiamo lasciato che il cero aprisse la strada e illuminasse il nostro cammino, anzi ci siamo dotati di un po’ di quella luce. E abbiamo acclamato a Cristo come luce del mondo.
Poco dopo, dal bellissimo canto dell’Exultet, abbiamo ricevuto questo annuncio: «Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia». Il capovolgimento enunciato che «questa notte splenderà come il giorno» è l’inaudito Vangelo che ci viene messo tra queste nostre mani tremanti, spesso bagnate di sudore, rugate e ferite, mani intimorite e che teniamo nascoste, perché le riteniamo indegne…
E avviene l’inimmaginabile di Dio. La notte è il tempo più buio, quando il sole non c’è e non può illuminare. Proprio da essa promana tutta la luce possibile: «La notte splenderà come il giorno». Anzi abbiamo ascoltato che «sarà fonte di luce per la mia [nostra] delizia». È quanto preghiamo con il salmo 139: «Nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce».
Questo annuncio che spiazza e che non riusciamo a spiegare e a riconoscere è la novità di ogni cosa, di noi tutti, di questa umanità così inquieta e anelante. Sulla scia di Maria di Màgdala e dell’altra Maria e poi di tutti gli altri discepoli ancora rintanati nelle loro esitazioni e paure che la morte di Gesù ha risvegliato, anche noi, oggi, da colui che è stato crocifisso e a cui abbiamo rivolto il nostro sguardo siamo chiamati e mandati a sorprendere e mostrare questa sua luce che promana e risplende in ogni nostra notte. Il segno più bello che potremmo porre è il nostro sguardo verso di lui per tenere viva in ogni nostra oscurità, in ogni tenebra in cui ci imbattiamo, in ogni volto reso buio dalla tristezza e dal dolore, in ogni vicenda annerita dall’ingiustizia, dall’indifferenza, dalla violenza, dal rifiuto, dalla guerra… tenere viva la speranza che «la notte splenderà come il giorno».
Mi sembra che sia capitato questo a Maria di Magdala e l’altra Maria di cui narra l’evangelista Matteo. La notte è già “alba” di un nuovo giorno. Le due discepole possono mettersi in cammino verso la tomba, ma ora anche da questo luogo di morte promana luce. Si sentono dire: «Voi non abbiate paura!». La loro ricerca di Gesù e il loro sguardo riguardano ancora il crocifisso, il trafitto. In realtà, in quanto risorto, Gesù già le precede, va’ anche loro incontro e lascia loro la sua luce: «Non temete, andate ad annunciare…».
A partire dalla Pasqua di Gesù è sempre possibile che ogni nostra notte splenda come il giorno. Non possiamo rinunciare come discepoli e discepole del Maestro ad andare e annunciare che «questa notte […] sarà luce per la delizia» del mondo.