Volgeranno lo sguardo a lui

Omelia durante la celebrazione della Passione del Signore
07-04-2023

Is 52,13-53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

«Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti» (Is 53,6). Siamo dinnanzi alle nostre vicende, a ciò che ci riguarda da vicino, anzi a quello che siamo. Quanto spesso ci troviamo “sperduti” e quante volte riscontriamo che «ognuno di noi segue la sua strada»! Il nostro sguardo in questa celebrazione della Passione del Signore è sul crocifisso: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). In Lui trafitto c’è anche la nostra verità: «Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53,5). Questa parola di Isaia ci lascia attoniti: è una vecchia storia, essa viene da lontano, ma può diventare reale ogni giorno: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato» (Is 53,4).

Sì, c’è una ferita di dolore anche in noi. Essa spesso sanguina di fronte ad ogni male che scopriamo o che ci tocca da vicino. Lo riteniamo inspiegabile e ingiusto. Il crocifisso si offre a noi perché non misconosciamo e non ignoriamo il mistero dell’iniquità e l’enigma del male, inoltre perché non rimuoviamo le nostre responsabilità.

Ma da questa stessa verità sgorga una fonte di speranza per noi. La intravediamo nelle parole pronunciate da Gesù, mentre avviene la congiura del male contro di lui: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». E l’evangelista commenta: «Perché si compisse la parola che egli aveva detto: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato”» (Gv 18,8-9).

Uno dei salmi della Liturgia delle Ore di oggi – il salmo 40 – sembra rappresentare ciò che avviene in Gesù mentre «prostrato con dolori offre se stesso […] come agnello condotto al macello» (cfr Is 53,7ss) indicando già la luce, predisponendo una grande discendenza e diventando così «causa di salvezza eterna per tutti», come ha riconosciuto la lettera agli Ebrei proclamata. Ecco le parole del salmo che Gesù assume:

«Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha tratto dalla fossa della morte, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio».

Queste parole stanno nel petto del crocifisso che viene trafitto dalla lancia: «Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). Da lì sgorga quell’amore che vince la morte e che si fa risurrezione.

Non appena il racconto della Passione riprende la profezia che annuncia: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37), si narra di due uomini, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea che, avvenuto il dramma della crocifissione e la dispersione dei discepoli, si affacciano sulla scena. E loro sono già un barlume e un germoglio di risurrezione nel «chicco di grano, caduto in terra» che muore e, dunque, non rimane solo (cfr Gv 12,24). Vi riporto un commento illuminante su questa commovente scena, mentre il crocifisso viene deposto dalla croce e deposto nella terra:

«In un tempo in cui solo occhi pieni di lacrime di donne, amiche e discepole del Nazareno, hanno contemplato lo “spettacolo” della crocifissione, ecco la rinascita di due uomini, che già profumano di Pasqua, già sperimentano il loro passaggio dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. Non è più tempo di precauzioni, di tentennamenti, di vite sepolte nella paura: le cento libbre di oli aromatici, “circa trenta chili di una mistura di mirra e aloe” non passano inosservati.

Nell’atto dolce della sepoltura questi discepoli in realtà stanno difendendo il piccolo pezzo di Dio che è dentro di loro, stanno aiutando Dio a risorgere, stanno disseppellendo Dio dai cuori devastati di altri uomini. Attraverso gesti di amore e di cura cercano di far spazio dentro di loro a quell’amore che hanno appreso dal maestro di Nazareth, amore vissuto come nessuno mai. Con la loro resurrezione stanno forzando l’alba della resurrezione di Gesù a sorgere. Il Padre non abbandonerà il Figlio nella tomba. Allora il giardino fiorirà a festa» (fr Giandomenico di Bose).

Contempliamo questa speranza!