Gal 2,1-2.7-14; Sal 116; Lc 11,1-4
Siamo qui con un senso di vuoto che ci ha colto improvvisamente mercoledì sera, quando si è sparsa la voce che don Samuel aveva silenziosamente e nascostamente portato a termine la sua presenza attiva tra noi. Nessun segnale ci aveva fatto pensare che la sua vita tra noi era giunta al suo compimento. Come nel suo solito stile, scostandosi un po’, esitando nel suo silenzio, senza esporsi con evidenza, si è lasciato andare.
Nel racconto evangelico di quel giorno, si narra che Gesù «si trovava in un luogo a pregare». Poi, appena finita la preghiera, «uno dei suoi discepoli gli dice: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”». È in quel momento che Gesù dice: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno». Noi immaginiamo che don Samuel abbia portato la domanda del discepolo nel suo cuore e l’abbia deposta dinnanzi all’atteggiamento filiale di Gesù che l’ha raccolta con premura e tenerezza. Quello di don Samuel è stato un abbandonarsi amoroso particolarmente in questa sua ultima stagione di vita in cui la fragilità e il senso di limite di ogni attesa e desiderio, della salute del corpo, dell’energia di vita abitavano già i suoi sentimenti, erano nel suo sentire. La domanda del discepolo che chiede a Gesù di insegnargli a pregare, oggi è la domanda delle comunità di Cesiomaggiore e di Soranzen. Il nostro trovarci qui ora è chiedere a Gesù di iniziarci ancora una volta alla sua sequela, a diventargli discepoli e discepole anche nel suo pregare.
Oramai da tre anni don Samuel è diventato parte viva del cammino di fede di queste due comunità. Proveniva con la sua storia di vocazione e di ministero dalla tradizione salesiana, a cui va ora – ancora una volta – la nostra riconoscenza. Lo ricordo benissimo quell’inizio. Nel suo intimo convivevano due sentimenti profondi: da una parte, il desiderio intenso di dedicarsi al ministero pastorale, che in tutta la sua consacrazione nella famiglia salesiana aveva alimentato e, dall’altra parte, una trepidazione diffusa che, a volte, sembrava incertezza di fronte alle tante situazioni complesse della vita e del ministero. In profondità tutto questo era un sentirsi evangelico tra i poveri. Quanto ci ha testimoniato l’apostolo Paolo, nella prima lettura, scaturisce anche dalla testimonianza di don Samuel: «Pregarono soltanto – qui Paolo si riferisce agli apostoli incontrati a Gerusalemme – di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare».
Quando è venuto a voi, comunità di Cesiomaggiore e di Soranzen, nel suo saluto su La nostra voce, scrisse: «Vengo a voi con una certa trepidazione conoscendo i miei limiti, vengo con il desiderio di amare e servire queste vostre comunità, vengo con la speranza che insieme potremo continuare l’opera che Dio ci affida». Don Samuel è stato un uomo, un religioso, un prete convinto che in tutto si poteva riconoscere “l’opera di Dio” e che a essa ci si doveva affidare. Le sue trepidazioni si acquietavano lì nell’affidarsi all’“opera di Dio”. Quando lo conobbi – oramai più di sei anni fa – mi colpirono i luoghi di servizio in cui lui amava esserci e a cui dedicarsi. Dapprima lo incontrai nella Casa circondariale di Belluno, delicatamente coinvolto in alcune iniziative di vicinanza ai detenuti. Poi lo incontrai presso la Farmacia dell’Immacolata, locata presso la parrocchia di San Gervasio a Belluno. In questa realtà egli donava il suo sostegno spirituale. Lo ricordo in mezzo alle giovani mamme con i loro bambini, la gran parte di loro appartenenti alla fede islamica. Nella preghiera filiale di Gesù consegnata al discepolo, troviamo la radice di questa spiritualità, fatta di quotidianità e di umanità: «Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore».
Questo fronte del ministero di don Samuel testimonia la sua vicenda di uomo e credente che ha attraversato una parte significativa di questo nostro mondo. Egli è rimasto profondamente legato alle sue origini cilene e alla sua famiglia. Un ricordo particolarissimo va ai familiari e parenti, alcuni sono qui con noi. Gli sono stati vicinissimi anche nel periodo della malattia della scorsa primavera. Don Samuel, poi, ha vissuto in Medio Oriente una parte rilevante della sua formazione e del suo primo ministero: a Betlemme è stato ordinato diacono e presbitero. A Il Cairo ha svolto un suo primo servizio pastorale. Poi ha continuato nella famiglia salesiana presente qui nel Nordest, presso di noi, nelle parrocchie di san Giovanni Bosco e di Limana. Don Samuel ha riversato questo suo “inquieto” universalismo anche tra noi. Gli siamo riconoscenti per averci provvidenzialmente adottati come sua famiglia di fede e di ministero. Lo ricordiamo accanto al carissimo don Vinicio. Nella gratitudine penso di interpretare i sentimenti dei confratelli preti di questa convergenza foraniale – in particolare di don Luigi di Meano – per la fraternità con cui si è fidato di loro e che ha alimentato.
Quanto è stato raccontato nella prima lettura dall’apostolo Paolo, lo possiamo riconoscere anche in don Samuel nel suo incontrarci ed è la testimonianza che si fa ora rendimento di grazie: «Riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la destra in segno di comunione». A voi, comunità di Cesio e di Soranzen, unitamente alla comunità di Pez che proprio lunedì scorso avete incontrato in Consiglio pastorale, e alle comunità vicine, passa questa stretta di mano, che don Samuel ha servito, come segno, promessa e impegno di comunione.